«Ridaremo dignità e diritti a chi lavora»

Dal partito “dei partigiani” al… “partigiano della Costituzione”. Quando allo scorso congresso dei Comunisti italiani conobbe Antonio Ingroia, Vito Cafaro non ebbe dubbi: «Lì, avevo individuato la persona giusta per rappresentare valori per noi fondamentali, quali i principi costituzionali». Da lì alla candidatura per il parlamento nelle file di Rivoluzione civile il passo è stato “breve”: giusto il tempo, è inteso, che il magistrato siciliano scendesse in campo, e il segretario provinciale dei Comunisti italiani (carica che ricopre ininterrottamente dal 2001), attuale responsabile per le politiche del lavoro nella segreteria regionale del partito, già membro del cda di Astem ed ex impiegato nella grande distribuzione, ha deciso di tentare la seconda avventura parlamentare, dopo quella del 2006, sempre alla Camera.

Cafaro, lei definisce Rivoluzione civile un movimento “che dà la possibilità a tutti i soggetti della società pulita di cercare cambiamento e imporre una rivoluzione”: da cosa partirebbe?

«Dalla questione morale, dal danno degli intrecci tra organizzazioni malavitose e enti pubblici, con gli esempi della Regione Lombardia, del Lazio e altri: la cosa fondamentale è evitare che si cancrenizzi, partendo dalla lotta alla mafia, colpendone la “carne viva” dell’economia, con controlli su transazioni finanziarie, banche nazionali ed estere».

E Il lavoro?

«È un tema parallelo, perché per combattere la mafia bisogna dare un’alternativa a chi oggi magari ne diventa in qualche modo “manovale”, con leggi più severe sui capitali investiti dalle cosche in aziende, esercizi commerciali, agricoltura. Quindi: ridare dignità e diritti al lavoratore, ma anche l’opportunità agli imprenditori di investire. Non siamo vetero comunisti: serve libero accesso al credito, e liberando capitali puliti si danno più opportunità di investire, soprattutto nella ricerca, nell’innovazione, nella green economy. Non possiamo pensare di essere competitivi solo nel manifatturiero, contro i cinesi».

Qual è la sua ricetta per migliorare la condizione del Lodigiano?

«Innanzitutto credo che una questione come le “quote latte”, in un Paese e in una regione inseriti nel più ampio contesto europeo, sia la dimostrazione di come non esistano ricette facili; e di come certi slogan, come quelli sul trattenere quasi tutte le ricchezze prodotte da un territorio nello stesso, non siano realizzabili. Detto ciò, credo che ciascun territorio vada dotato di norme e strumenti per valorizzare i rispettivi patrimoni paesaggistici e culturali, ma anche le aziende che promuovono prodotti tipici. Il Lodigiano? Il lavoro è la questione principe: è chiaro come soffra anche del problema sul trasporto pendolari, e penso alla metropolitana, venuta meno. E poi, se non combatto contro l’inquinamento distruggo tutto, compromettendo anche la salute».

Da dove può scattare, culturalmente, questa “rivoluzione”?

«Da ex studente di Brera, mi piacerebbe potesse farlo dalle scuole, introducendo storia dell’arte già alle elementari. Vorrei che si avesse un occhio di riguardo per la conoscenza e valorizzazione delle tante bellezze che esistono, anche nel Lodigiano: perché simili patrimoni, in fondo, sono anche un’opportunità di sviluppo».

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