«C’è un modo per salvare la proprietà pubblica di S. Chiara»

Pubblichiamo integralmente il documento che illustra la posizione del Partito della Rifondazione Comunista di Lodi sulla scelta di indirizzo per la casa di riposo Santa Chiara di Lodi.

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Assistendo a quello che sta succedendo in questi giorni a Lodi, sulla scelta d’indirizzo per il futuro di Santa Chiara effettuata dal consiglio comunale di Lodi, scelta che appoggiamo ed apprezziamo, per noi comunisti ci sarebbe da rallegrarsi.

Partiti di destra che si scagliano contro le privatizzazioni, sindacati apatici da anni che portano in piazza lavoratrici e lavoratori per difendere i propri diritti, poltronisti ferrei che urlano contro le nomine politiche nei consigli di amministrazione.

Insomma, quello che noi predichiamo e pratichiamo da sempre divenuto senso comune, patrimonio ideologico e politico anche della destra. Troppo bello perché sia vero, infatti non è vero, molta di questa agitazione suona falsa come gli argomenti utilizzati per sostenerla.

Gli unici in buona fede, in questa vicenda, sono le lavoratrici e i lavoratori di Santa Chiara, che giustamente preoccupati per il loro futuro, anche perchè spaventati da notizie false messe in giro ad arte, chiedono certezze e garanzie, vogliono salvaguardare la loro ben nota professionalità e pretendono di capire che succederà di loro nel futuro immediato. Per quanto riguarda gli altri attori, la malafede di alcuni sembra evidente.

Il clamore creato intorno alla decisione dell’amministrazione comunale fa capire a tutti noi quanto la città tenga alla sua casa di riposo e quanto sia importante che la stessa resti sotto il controllo del comune, ossia dei lodigiani. Purtroppo, per ottenere questo risultato, è necessario cambiare la forma giuridica di Santa Chiara, perchè la regione ha deciso, nel 2012, che tutte le case di riposo che si ostinino a rimanere pubbliche, ossia ASP, debbano essere commissariate, che la regione nomini direttamente il direttore generale (sentito il sindaco), con potere assoluto per quanto riguarda patrimonio, scelte organizzative e politiche del personale, gestione dell’istituto.

Ossia, per estrema sintesi, Santa Chiara sarebbe gestita con le stesse regole del nostro ospedale, eliminando qualunque possibilità d’intervento del comune e attraverso questo della cittadinanza. Certo, resterebbe un consiglio di gestione che avrebbe esclusivamente la possibilità di gestire decisione prese altrove, senza poterle discutere né tantomeno rifiutare. Pura formalità.

Anche questo gli antiprivatizzatori più accesi lo sanno, ma non lo dicono. Come non dicono che la nostra regione da anni sta facendo tutto quanto è in proprio potere per privatizzare il più possibile il sistema sociosanitario regionale, che preferisce utilizzare le cooperative amiche anziché assumere direttamente, che per Santa Chiara ci sarebbe l’obbligo di trasformarsi in fondazione dopo due bilanci in rosso, cosa facile a farsi se il direttore generale non deve rispondere a nessuno se non a Maroni, che con le nuove regole la fondazione ha costi minori rispetto all’ASP, che l’eccellenza raggiunta da Santa Chiara con il reparto alzheimer e il gruppo di aiuto collegato, il reparto sollievo, l’assistenza domiciliare in città è stata raggiunta grazie a una stretta sinergia tra l’istituto e il consiglio comunale, cosa che domani non ci sarebbe più, visto che il consiglio comunale non avrebbe più voce in capitolo.

Oggi Santa chiara avrebbe anche un hospice, se la regione non avesse fatto le barricate per non dare l’autorizzazione, arrivando anche a fare ritirare una delibera già approvata dall’ASL locale, chiaro esempio di chi prenderebbe le decisioni in futuro. Senza contare che è alle porte una riforma costituzionale che potrebbe riportare le funzioni sociosanitarie in alveo statale, togliendole alle regioni.

Nel 2003, quando è partita la crociata privatizzatrice delle case di riposo, abbiamo condotto quasi da soli una decisa lotta politica contro le fondazioni, riuscendo a mantenere in forma pubblica solo tre istituti nel nostro territorio, quelli di Lodi, di Codogno e di Santa Colombano.

Dove erano tutti i sostenitori del pubblico allora? Che cosa hanno messo in campo per impedire allora quello che oggi pare turbarli tanto? E perchè non ci hanno aiutato allora quando si poteva contrastare in modo efficace questo disegno?

Noi continuiamo ad affermare che il pubblico è meglio del privato, meno costoso e più efficace perchè non legato a profitto ma solo al servizio, certo un pubblico gestito con professionalità, non come bacino clientelare per certi partiti.

Affermiamo con forza che adesso, con lo stato che si ritira a grandi passi dall’assistenza e dal sociale, diventa necessario più di prima mantenere i presidi socioassistenziali legati al territorio, per ricostruire un welfare territoriale ancora più necessario in questo periodo di crisi.

Ci rivolgiamo adesso alle lavoratrici ed ai lavoratori di Santa Chiara per provare a rassicurarli, per loro nel futuro immediato, ed anche in quello più lontano, non cambierà nulla rispetto ad oggi, non cambierà nulla per il loro posto di lavoro, per la loro retribuzione, per gli inquadramenti, per i livelli di tutela e di diritti, per la possibilità di carriera e per i futuri contratti, continueranno a seguire quello del pubblico impiego.

Tutto questo è stabilito a chiare lettere nello statuto della nuova fondazione, statuto che potrà essere modificato solo con il consenso del 95% del consiglio comunale.

Oltretutto questa scelta consente di tenere aperta la porta ad una piena ripubblicizzazione, qualora la regione la consenta.

I loro referenti sindacali, ed i loro nuovi difensori politici avrebbero dovuto e potuto spiegarlo.

Sfidiamo poi quelli che incolpano di quanto sta succedendo il comune, invece che la giunta regionale, il vero colpevole di questa vicenda.

Esiste un modo per salvare la proprietà pubblica di Santa Chiara ed il controllo cittadino sull’istituto, basta che la regione ritiri la legge del 2012 che prevede il commissariamento di Santa Chiara se questa resta ASP.

Andiamo insieme in regione, portiamoci i lavoratori, difendiamo insieme veramente il loro futuro e la territorialità della casa di riposo, costruiamo una mobilitazione territoriale e raccogliamo le firme, su cose vere questa volta però, delle cittadine e dei cittadini per questa richiesta, facendo in modo che il disegno privatizzatore della regione naufraghi.

Possiamo cominciare domani, noi ci siamo, e voi?

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