
La trippa lodigiana, un piatto da nobilitare
LA CUCINA DELL’ANIMA Quattro testimonial per una ricetta che dovrebbe andare oltre la tradizione
A Bruno Balti, delegato per la sezione di Lodi dell’Accademia Italiana della Cucina, Istituzione Culturale della Repubblica Italiana, l’unica realtà con queste finalità gastronomiche, brillano gli occhi allorché si parla di trippa: «Per forza, parliamo di un piatto della più autentica tradizione lombarda con una specificità squisitamente lodigiana; questa pietanza, infatti, è fortemente legata alla festa patronale del santo patrono di Lodi, il vescovo Bassiano. Nel passato la ricorrenza durava più giorni, veniva gente da tutto il contado rurale, e come noto le cascine erano molto popolate: le osterie offrivano gratuitamente ai pellegrini una scodella di trippa fumante, molto brodosa, insaporita con brodo di carne, alle volte rinforzato con un po’ troppo sale, certo per darvi una maggiore sapidità, e soprattutto per stuzzicare loro la sete in quanto per i calici di vino si doveva pagare. Sì, è vero, c’è chi considera questa portata come un secondo, in quanto è a base di carne, ma in realtà la trippa è un piatto unico; al limite, grazie al suo brodo, è possibile al contrario offrirlo quale primo.
Ho detto di questa specificità lodigiana rispetto alla bũséca milanese perché, pur avendo la stessa matrice, quest’ultima è realizzata solo con i fagioli bianchi di Spagna, mentre quella lodigiana prevede anche l’utilizzo dei fagioli Borlotti, da soli o in un mix fra le due tipologie. Per renderla più gradevole e rinforzare il brodo, si può aggiungere dell’osso con carne, come biancostato, coda o anche ossobuco; il gastronomo Mazzi prevedeva nella sua ricetta una piccola quantità di carne trita che poi, in fase di cottura, si scioglieva completamente nel brodo. Ma queste sono sperimentazione riservate agli chef. Se la trippa risente della definizione di piatto per poveri? È un dato di fatto inconfutabile a livello storico: d’altra parte, il filetto andava ai nobili, i quarti di carne alla media borghesia, mentre le frattaglie restavano per chi non poteva permettersi altro. Ma, in realtà, il vero suo limite è che la trippa lodigiana risente di questo connubio speciale con la festa del patrono di Lodi, viene perciò collocata in un preciso arco temporale di tempo e ciò costituisce la sua limitazione. Invece, io credo che andrebbe maggiormente promossa, perché è sinceramente identificativa del nostro territorio, con la particolarità che poi ogni ristorante, su questo piatto, ci mette il proprio tocco di originalità».
La chef Amalia Nichetti, del ristorante Gaffurio di Lodi, mi parla della trippa lasciandomela proprio prefigurare, bella fumante dentro la scodella; la Nichetti, oltre alla dote di cucinare divinamente, ha sempre avuto questo di bello: qualunque cosa arrivi dalla sua cucina ha gli echi di un’incantevole raffinatezza, quel piatto riflette in pieno la dolcezza e l’armonia dello spirito di chi l’ha creato, e qualunque ingrediente ha il suo perché, i suoi cibi esprimono il sentimento delle emozioni più pure. Eppure, sulla trippa, la chef fa una precisazione netta: «Parliamo di una pietanza - mi dice - che ha una sua straordinaria importanza, ma sono gli stessi lodigiani a limitarne la richiesta solo in questo arco di tempo, legato alla festività del patrono. Eppure, questi eventi della memoria vanno assolutamente tenuti in vita, nella mente e nel cuore delle persone. Io la faccio seguendo la tradizione più autentica, ispirandomi alla ricetta di Emilio Mazzi. La mia trippa è assolutamente in brodo, con fagioli bianchi, rosmarino e verdure varie. Se va nobilitata dagli chef? Assolutamente sì: i piatti rurali, nella nostra ottica, vanno promossi a livelli maggiori, le culture cambiano, ma le tradizioni non vanno dimenticate; le frattaglie, perciò, possono trovare modi differenti di valorizzazione: ciò non significa una costretta rivisitazione di quella determinata proposta, anzi! Semmai, potrebbe essere possibile proporre la trippa nei modi diversi che luoghi differenti impongono, per comprenderne le diversità ed i differenti gusti, sapendo dall’inizio che questo è il percorso: non discostarsi dalle proprie tradizioni, ma conoscerne altre».
Alla Trattoria della Conca di Cornovecchio, lo storico oste Giampiero Morelli mi riceve con un sorriso accogliente e gentile, che mi ripaga dei 60 km e rotti, tra andare e tornare, che mi sto sobbarcando solo per il piacere di parlare della trippa. D’altra parte qui c’è un ambiente rurale autentico, e l’idea di raggiungere un avamposto sperduto fra i campi dove forse è possibile trovare, nella nebbia che avvolge l’anima, una risposta ad una nostalgia sconfinata, quanto i campi dell’intero Lodigiano, per chissà quali atavici afflati perdute: «Ho chiesto in cucina - mi dice il signor Giampiero, contentissimo di essermi utile - la nostra ricetta della trippa. Ma sa che qui lo scorso anno sono venuti quelli dell’Accademia della Cucina Italiana e ho ricevuto da loro tanti complimenti, e c’era pure chi arrivava da Monza. Allora, le dico: noi usiamo foiolo e cordone. Un pezzo di manzo con osso per fare il brodo. Quindi carote, sedano cipolle, patate, fagioli Borlotti, fagioli di Spagna, un pochino di polpa di pomodoro, ed una spruzzatina di vino bianco, rigorosamente fermo. La cottura impiega quasi tre ore. È un piatto invernale, ma se una compagnia ce lo chiede in un’altra stagione la facciamo ugualmente. Guardi non banalizzi il concetto di frattaglie, la carne comunque deve essere eccellente: noi la prendiamo in una macelleria di Santo Stefano Lodigiano, ha roba buonissima, le dico il nome, ci vada a nome mio vedrà che la tratterà bene! Ne prendo 10 kg per volta, buona com’è si mantiene anche per il giorno successivo».
All’agriturismo Luna, sulla strada provinciale per Marudo, tempo fa ho mangiato una trippa di cui ricordo ancora la sensazione finale: ero lì, alla fine della consumazione, a fare scarpetta sul piatto e a leccarmi le dita! La ristoratrice Ilenia Toninelli riconosce il merito a quelli che lavorano dietro le quinte, cioè in cucina: «Il nostro segreto, nella preparazione della trippa, è la coda. Ma la specialista della preparazione è la signora Giovanna, che lavora in cucina dell’Agriturismo sin dalla sua apertura nel 2006 e che abitava con la famiglia proprio alla Cascina Luna; lei riproduce una ricetta che le ha tramandato la sua mamma».
La signora Giovanna va al nocciolo della questione e condivide la ricetta della sua trippa: «Sgrassare, raschiare e lavare bene la trippa; quindi farla sobbollire un poco nell’acqua bollente e ricavarne listerelle sottili. Tagliare a pezzetti le carote, la patata, il sedano, mezza cipolla. In una pentola con bordi alti, mettere a soffriggere con il burro e mezzo bicchiere di olio. Appena la cipolla comincerà a colorarsi, aggiungere la trippa tagliata a listarelle e i fagioli bianchi di Spagna. Cuocere per un quarto d’ora e bagnare il tutto con una tazza di brodo di carne nella quale sarà stato diluito un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Mi raccomando: è necessario fare bollire a fuoco sostenuto per circa 4 ore, avendo l’accortezza di aggiungere gradualmente il brodo di carne caldo, per evitare che il composto si asciughi. Altra puntualizzazione: particolare attenzione dovrà essere tenuta nella preparazione del brodo, assolutamente di coda di bovino, noi ovviamente abbiamo quelle dei bovini allevati in cascina, senza aggiunta di verdure».
Buon appetito a tutti!
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