Una guerra per procura nel fragilissimo Sudan

Gli Stati Uniti e la Russia con il suo esercito privato Wagner soffiano sul fuoco

La ripida e tortuosa strada verso la democrazia in Sudan è franata violentemente sabato 15 aprile quando il Paese è divenuto il teatro di in uno scontro armato tra l’esercito regolare e le forze paramilitari che a oggi ha già provocato oltre 200 morti tra la popolazione e rischia di degenerare in una guerra civile. I combattimenti sono scoppiati tra le unità dell’esercito regolare fedeli al generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio Sovrano del governo di transizione del Sudan, e le Forze paramilitari di Supporto Rapido (RSF), guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, vicecapo del consiglio. È stata la prima volta che i due gruppi armati si sono fronteggiati apertamente da quando entrambi hanno unito le forze per estromettere l’ autocrate islamista Mar al-Bashir nel 2019. La violenza di questi gironi, ufficialmente, è dettata da un disaccordo tra i vertici dell’esecutivo sudanese sull’integrazione delle RSF nell’esercito governativo.

Già nel 2021, quando i militari hanno rovesciato l’allora governo, estromesso i leader della società civile, represso ogni libertà e introdotto un regime militare, i golpisti avevano definito imprescindibile il reintegro delle unità paramilitari nelle forze lealiste per avviare un processo di transizione verso un governo civile. Le promesse si sono sciolte come neve al sole e i due generali da alleati sono divenuti nemici e così ora il paese si trova diviso in due: da un lato ci sono gli uomini di Abdel Fattah al-Burhan, principale responsabile del golpe di due anni fa e della repressione che gli ha fatto seguito, dall’altro le milizie del suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo, già a capo dei Janjaweed, i demoni a cavallo, accusato di un numero impressionante di crimini contro l’umanità per i massacri perpetrati nelle regioni del Darfur e del Kordofan durante gli anni ’90 e 2000. Mentre per le vie di Karthoum e delle principali città sudanesi oggi i testimoni parlando di bombardamenti, scontri con artiglieria pesante e combattimenti casa per casa, intanto il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha sospeso le operazioni nel Paese dopo che tre dei suoi dipendenti sono rimasti uccisi e le notizie che trasmettono i media locali parlano di una situazione di estrema emergenza, di tregue non rispettate e di ospedali al collasso dove già manca il sangue per le trasfusioni.

Ma quest’escalation, stando all’analisi unanime di tutti i principali studiosi dell’Africa e di questioni geopolitiche internazionali, non va letta solo come una questione interna al Sudan o una congiura di palazzo perché dietro le due fazioni si celano gli interessi di potenze straniere come l’Egitto, gli Usa e la Russia. Washington e il Cairo, vicini ai regolari, vorrebbero impedire a Mosca di ottenere una base sul Mar Rosso, il Cremlino, invece sostiene i gruppi paramilitari di Dagalo per difendere la concessione ottenuta dall’esecutivo sudanese e il controllo sui giacimenti auriferi, e per farlo ha già mandato in loco gli uomini della Wagner. Di nuovo quindi una guerra per procura a incendiare l’Africa, di nuovo gli africani a morire per interessi di altri.

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