La democrazia uzbeka

Un tizio dal nome impronunciabile (Chavkat Mirziyoyev) è presidente per la terza volta

Quando ci chiedono cos’è la democrazia, istintivamente pensiamo al significato della parola, “potere del popolo”, e pensiamo sia sinonimo di andare a votare. Voi non siete ancora maggiorenni, ma quando crescerete avrete la vostra bella tessera, vi infilerete in un gabbiotto (come una specie di camerino) e andrete a dire la vostra opinione, con una X, su chi deve essere il sindaco, il presidente della Regione, su chi deve andare in parlamento a Roma o a Strasburgo. Eppure, c’è sto tizio dal nome impronunciabile, Chavkat Mirziyoyev, che dal lontano Uzbekistan ci insegna che non basta una X per fare una democrazia.

Pensate che il nostro Chav (semplifichiamo) è stato rieletto presidente per la terza volta, vincendo di nuovo le elezioni di domenica con un risultato impressionante: 87 per cento. Significa che quasi tutti gli uzbeki (che non sono tanti, ma nemmeno pochissimi) lo amano e lo vogliono ancora a guidare il Paese?

Non proprio. Significa più che altro (come afferma l’Ocse, che è un’organizzazione internazionale che si occupa di sviluppo) che il presidente correva contro tre candidati sconosciuti, e che non c’è stata una «vera competizione politica».

Per fare una democrazia, infatti, servono tanti ingredienti oltre al voto. Così, su due piedi, mi vengono in mente: un’istruzione dei cittadini (le persone che non vanno a scuola non sanno capire tanto bene la situazione), dei giudici indipendenti (se il presidente chiede ai giudici di mettere in prigione tutti gli altri candidati, non c’è storia), la possibilità di candidarsi e competere davvero anche se si hanno pochi soldi, e poi una corretta, puntuale e libera informazione dei cittadini. Riguardo a quest’ultimo punto, vi faccio notare una cosa: anche voi, con Tarantasio, state contribuendo ad informarvi, e quindi siete degli ingredienti importantissimi della democrazia, anche se non potete ancora votare.

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