«Faccio il mungitore, è dura, ma mio figlio andrà all’università»

Praamit vive in Italia da dieci anni ma comunica a stento, con le poche parole della nostra lingua che conosce. È un tipo serio, cupo, che ha deciso di lasciare l’India per il solito, impellente motivo: denaro. Voleva che il figlio potesse frequentare l’università e non poteva immaginare di passare il resto della sua vita su un taxi sgangherato per pochi, pochissimi euro al giorno. Così oggi il nostro protagonista fa il mungitore, e sta cercando di convincere il fratello a trasferirsi da questa parte del mondo. «Crisi o non crisi, qui si sta meglio».Buongiorno, ha qualche minuto da dedicarmi? È per Il Cittadino.«Mah, non saprei. Non parlo benissimo l’italiano, non vorrei commettere errori».Vedrà che in qualche modo ci capiremo. Allora, le sta bene se le faccio qualche domanda?«Prego, prego».Da dove viene?«Vengo da una regione nel nord dell’India. Sono qui con mia moglie e mio figlio che ha quindici anni».Da quanto tempo vive in Italia?«Dunque, il bambino aveva dieci anni quando mi ha raggiunto, io ero partito cinque anni prima, fanno dieci anni tondi tondi. Niente male. Il tempo vola».Mi racconta perché ha deciso di emigrare?«Guarda, il motivo è semplicissimo e si chiama denaro. Facevo il tassista nella città in cui vivevo. Lavoravo dalla mattina alla sera, ininterrottamente, e di notte prestavo l’auto a un collega che faceva il turno notturno. La mia auto, quando l’ho venduta prima di partire, aveva percorso più di quattrocento ottantamila chilometri. Considerando il traffico e tutto il resto, l’abbiamo davvero spremuta. Ma ci siamo spremuti anche noi».Vero.«Come ti accennavo ero in strada dalla mattina alla sera per pochi spiccioli. Tolte le spese e il vitto, in tasca non ci restava nulla. E in famiglia siamo solo in tre. Non potevo andare avanti in quel modo. Che futuro avevamo? Non eravamo nemmeno in grado di permettere a mio figlio di frequentare l’università. Non volevo vedere anche lui su un taxi dalla mattina alla sera, credimi, questo era l’ultimo dei miei desideri».Sua moglie non lavorava?«Noi non avevamo lavatrice, lavastoviglie, asciugatrice, detergenti superpotenti e tutte le “scorciatoie” domestiche che avete voi. Quindi mia moglie si occupava della casa e a tempo perso – ossia per il resto della giornata fino a sera – faceva la sarta per le signore del vicinato. Arrotondava, niente di più. Intendo dire che non aveva uno stipendio vero e proprio».E quindi lei decide di partire.«Con mille remore, da parte sia di mia moglie che di mio fratello. Mi dicevano che ero impazzito, che un indiano lontano dall’India si perde. Io non mi sono perso, sono sempre un indiano. Vivo come prima, ho gli stessi valori, mangio le stesse cose. È cambiato solo il contesto, ecco tutto».Come?«Qui è decisamente meglio, se non altro dal punto di vista delle comodità. Ho uno scooter, mia moglie ha la lavatrice, mio figlio va a scuola in autobus, la casa in cui viviamo è comoda e abbastanza spaziosa per tutti e tre, il mio lavoro viene riconosciuto. Capisci cosa intendo?».Credo proprio di sì. Ma perché l’Italia?«Perché no?».Giusto, allora perché proprio l’Italia?«Non conoscevo nessuno in nessuna parte del mondo. Però sapevo di una famiglia di vicini che in Italia si era trovata bene. Mi sono fatto dare gli indirizzi di alcune persone italiane che potevano aiutarmi con il lavoro. All’inizio è stato un incubo».Davvero?«Mi ero ritrovato a condividere l’appartamento con altri otto stranieri, tutti provenienti da paesi diversi. Non andavamo per niente d’accordo, ma almeno le spese erano decisamente contenute. Bella consolazione. In quel periodo non avevo un lavoro».Dev’essere stata dura.«Direi proprio di sì. Ma sapevo che i miei contatti stavano facendo di tutto per aiutarmi».Ma chi erano queste persone?«Membri di un’associazione milanese che dava una mano alle persone in difficoltà come me. Scusa, ma non ricordo il nome dell’associazione, e mi dispiace moltissimo. Il problema è che in quel periodo non masticavo nemmeno una parola di italiano. Me la cavavo giusto con l’inglese, la cosiddetta sopravvivenza».Come la hanno aiutata?«Trovandomi un posto letto e poi un lavoro, in una ditta milanese. Ma a tempo determinato. Grazie al mio nuovo impiego, mi sono messo in contatto con alcuni connazionali. Allo scadere del contratto, avevo già un’alternativa qui nel Lodigiano».Ossia?«Mungitore. È un lavoro duro, ma per me va benissimo. Mi permette di mantenere tutta la famiglia e di realizzare i sogni di mio figlio. Non posso chiedere niente di meglio. Nel giro di cinque anni i miei cari erano tutti qui».Come si sono trovati?«Mio figlio è contentissimo. Frequenta le scuole superiori e mi sembra si sia integrato più che bene. Ha avuto parecchi problemi con l’italiano, ma fortunatamente i suoi amici, che parlano anche l’inglese, gli hanno dato una mano. Mia moglie è quella meno contenta».Perché?«Perché viviamo in campagna e si sente isolata, visto che non ha un mezzo per spostarsi. Passa tutta la settimana in casa, usciamo insieme solo il sabato per fare la spesa. Poi, se non sbaglio, il giovedì viene a Lodi al mercato. Lo so che non è il massimo, so anche che prima abitavamo in una zona molto affollata. Intendo dire che capisco il senso di isolamento, ma non so cosa farci».Resterà in Italia per molto?«Torno a casa ogni anno, massimo ogni due; come ti dicevo sono sempre un indiano. Lo dimostra il fatto che conosco l’italiano davvero poco e che delle vostre usanze non so quasi nulla. Ma il lavoro è qui, e quindi è qui che io resterò. Non posso nemmeno immaginare di ritornare sul taxi, alla mia età. No, grazie, meglio fare il mungitore. Questo significa che non ho in programma di tornare in patria almeno per i prossimi dieci anni».Era qui al phone center per chiamare casa?«Sì, stavo facendo una videochiamata con mio fratello. Ci sentiamo spesso, lui è il resto della mia famiglia. Fortunatamente ci sono le tecnologie ad aiutarci. Il prossimo acquisto è un computer, per me e per mio figlio: ne avrà sicuramente bisogno anche per la scuola. Vedi, grazie al mio lavoro posso permettermi di realizzare qualche sogno. Questo è impagabile. Io vorrei che anche mio fratello si trasferisse qui, ma è troppo legato all’India. Non partirà mai».E lei?«Continuerò a sentirlo e a insistere. Chissà? Magari un giorno cambierà idea».

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