Peppone Negri è stato il bar e l’osteria: un vero simbolo per la ristorazione lodigiana

Gentile Direttore,le chiedo un poco di spazio per esprimere profondissimo cordoglio per la scomparsa di Giuseppe Negri, universalmente noto come “Peppone”.Proprietario, chef e “anima” della Locanda del Sole di Corno Giovine, Peppone è stato molto più di un ristoratore, e la Locanda molto più di un ristorante.Per chi viene da fuori provincia, si tratta di un simbolo della cucina lodigiana, casereccia e saporita ma senza chiusure a nuove idee e sperimentazioni. Uno dei pochi ristoranti ad aver preso parte a tutte le edizioni della Rassegna Gastronomica del Lodigiano, risultandone quasi sempre uno dei più affollati: decine e decine di migliaia di persone hanno assaggiato in 26 anni di Rassegna il grissino caldo con la pancetta, portando di conseguenza il nome del paese e della provincia in giro per l’Italia. Mi auguro con tutto il cuore che questa parte di attività possa proseguire.Credo che però a subire la perdita più grande, quella non rimpiazzabile, siano gli abitanti di Corno Giovine, per i quali la “Locanda di Peppone” è stata, e non esagero, l’elemento di continuità tra passato e presente. Dalla fotografia in bianco e nero, allo smartphone.Attività storiche hanno chiuso, associazioni come quelle sportive non hanno più avuto i numeri per proseguire; tra coloro che se ne sono andati a vivere via, e tra quelli che se ne sono andati per sempre, il saldo demografico ha fatto il resto, cambiando irrimediabilmente il paese.Non la Locanda, non Peppone. Loro ci sono stati sempre.E qui, più del ristorante, è stato il bar, l’osteria. Se da una parte Peppone rivestiva il ruolo di chef attento e mai pago, dall’altra, per chi ha avuto la fortuna di viverlo, lui è stato la tipica figura dell’oste di paese. Un’immagine quasi felliniana. Collettori di tutti i racconti, le dicerie, i fatti, a volte veri a volte mitologici, che avvenivano in paese, Giuseppe e la Locanda erano una sorta di “Ansa” locale. I battenti aprivano alle prime luci dell’alba, per cui le notizie arrivavano freschissime. A volte belle, a volte brutte.Gli aneddoti, Peppone amava riproporli rigorosamente in dialetto e con qualche spunto colorito, suscitando buonumore, e, talvolta, risate a crepapelle.E poi, l’incredibile patrimonio di memoria storica, quella popolare, che purtroppo se ne va insieme a lui: credo che Giuseppe abbia visto passare nel suo locale oltre un secolo di persone, da quelle nate nel 1900 a quelle del 2010, di ognuno ricordando qualcosa. Ho sentito soprannomi curiosi, talvolta geniali (in una parola raccontavano la storia di quella persona, o della sua famiglia) di gente del paese che magari, per motivi di età, non avevo nemmeno conosciuto, ma che Peppone ed il gruppo di aficionados facevano rivivere come fossero lì, in quel momento.Per una decina di anni, prima che lasciassi Corno, la Locanda fu per me tappa fissa per il caffè del dopo pranzo: un quarto d’ora di pausa a cui cercavo di non rinunciare perché ne sentivo l’effetto benefico sulla giornata e, a lungo andare, sulla vita.E non solo per la simpatia di Peppone ed i suoi aneddoti: soprattutto per quel “sapore di paese” delle cose semplici, dei valori veri, che porti sempre con te, che sa di buono, di originale, e non di taroccato come sembra essere sempre di più tutto ciò che ci circonda.L’ultimo ricordo è quello per il Peppone più “mio”, personale. Il Grande Amico di mio padre, la cui dipartita non ha mai completamente metabolizzato: credo che Giuseppe me lo abbia citato ad ogni nostro incontro dal giorno della morte fino all’ultima volta che ci siamo visti. Spero davvero che da qualche parte, ora, stiano festeggiando il loro ritrovarsi, magari gustando una fetta della torta “Re Umberto” che Peppone aveva intitolato a papà, e di cui entrambi andavano matti.Con grande affetto,

© RIPRODUZIONE RISERVATA