Ma stare seduti a Roma rammollisce anche i leghisti più duri

 “È mort Gurini”: così si dice a Lodi per sottolineare un concetto ovvio. È risaputo: la Lega non riconosce l’Inno di Mameli, non tifa per la Nazionale id calcio, ha una sua Miss Padania, non riconosce il tricolore, insomma rifiuta tutto ciò che rappresenta l’unità nazionale ed è quindi naturale il rifiuto a festeggiare il 17 marzo, anzi la Lega mette in discussione l’intera storia risorgimentale. La vittima più illustre di questo revisionismo è Giuseppe Garibaldi, definito da Luca Ricolfi un filibustiere. Giuseppe Garibaldi, come abbiamo appreso dai testi scolastici, era un giovane corso e a ventisei anni già capitanava una nave e una flotta alla conquista dei Due Mondi. Associare la sua figura a quella di Renzo Bossi che vuole conquistare la Padania cimentandosi in una battaglia navale virtuale contro i barconi carichi di disperati in cerca di asilo, rende poco credibili, anzi patetiche, le velleità della Lega. Oggi il federalismo non è un’opzione ma una necessità, ma non è quello che ci sta proponendo il governo Berlusconi; non provo alcuna soddisfazione nell’essere salassata da un governo locale piuttosto che da quello centrale. Durante le Cinque Giornate di Milano i lombardi si ribellavano al grido di “Vienna ladrona”. Perché, dopo tanto abbaiare, la Lega non ha più il coraggio di gridare “Roma ladrona?”. Probabilmente fare la rivoluzione stando comodamente seduti su poltrone ben retribuite rende meno belligeranti e rammollisce anche i più duri.

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