Somaglia, un castello aperto a tutti

Dentro ci convivono un centro didattico naturalistico, il museo di Mario Borsa (direttore del «Corriere della Sera», nato da queste parti), spazi per convegni e mostre, la biblioteca comunale, sedi di associazioni, un appartamento ancora abitato, una scuola di Italiano per stranieri, una collezione di costumi medioevali che fanno la gioia di figuranti e appassionati... Benvenuti al castello Cavazzi, Somaglia, Bassa lodigiana affacciata sul Po e su Piacenza che nei giorni di sole si intravede dalle finestre del sottotetto. Dal 1980 questo bellissimo edificio è di proprietà del Comune: quell’anno fu l’ultima proprietaria (e ultima discendente della casata), la contessa e baronessa Guendalina Cavazzi della Somaglia, a donarlo all’amministrazione comunale. Un gesto gradito, quant’anche foriero di problemi da risolvere e riflessioni da fare, calcolatrice alla mano. Di spese, si capì subito, ce ne sarebbero state non poche: oggi solo luce e riscaldamento fanno 30mila euro all’anno. Quello che era un castello edificato nel Milletrecento (probabilmente sui resti di un preesistente edificio degli anni Mille) e ampliato nel Milleseicento era diventato un condominio popolare dove vivevano le famiglie scappate dalla guerra. «In paese c’è ancora qualcuno che nel castello ci è nato e cresciuto» spiega Luca Tavani, responsabile dell’Area amministrativa del Comune e nostra guida, con il vice sindaco Marco Facchini, a questo gioiello dal potenziale ancora tutto da scoprire, dentro e fuori dai ristretti confini del Lodigiano. La giunta comunale dell’epoca fece una scelta precisa e, riletta oggi, forse azzardata. Di certo controcorrente. Il castello non avrebbe accolto gli uffici comunali. Sarebbe stata una cornice di pregio (vedasi la rocca di Borgonovo, nel Piacentino, oggi prestigiosa sede comunale) ma fu preferita la valenza sociale. Il castello aveva ospitato famiglie per anni, era stato un “condominio” ante litteram. Avrebbe continuato a essere una casa aperta per la comunità. Un primo restauro servì a consolidare la struttura, altri si sono susseguiti. Il giorno della nostra visita operai ed elettricisti stanno installando uno scenografico impianto di illuminazione del viale d’ingresso. È la parte più antica quella meglio valorizzata. Al piano terra la sala d’armi è stata convertita in spazio per convegni e matrimoni ed è a disposizione delle associazioni per un costo assolutamente simbolico. La sala “dei draghi” (per via degli affreschi) di fianco è diventata nel 2012 un piccolo museo dedicato a Mario Borsa, nato da queste parti, nella cascina Regina Fittarezza, il 23 marzo 1870, giornalista e direttore del «Corriere» tra il 1945 e il 1946, ricordato anche da una pagina del quotidiano inglese «The Times» (riprodotta ed esposta) e dalla sua maschera funeraria. Ai piani superiori ci sono alcuni locali per le attività delle associazioni (come il corso di Italiano per stranieri) e il centro didattico dell’oasi delle Monticchie, un polmone verde ai piedi del castello. Qui transitano fino a millecinquecento visitatori all’anno, molte le scolaresche. Meno frequentato ma non meno importante è il Centro studi sulla conservazione degli anfibi, in alcuni locali all’ultimo piano, che si attiva in caso di ricerche e campagne di studi. Altro punto di riferimento per la comunità è la biblioteca comunale che si affaccia nel cortile, rimpinguata da un fondo librario donato dalla Provincia. Altri spazi sfruttati sono quelli adibiti a magazzino e alla collezione di accurati abiti medievali («Ce li chiese anche la Rai») realizzati da alcuni volontari. Per la parte seicentesca del castello invece mancano i soldi. Per ora è stato restaurato lo scalone d’accesso ma le alte camere del piano nobile mostrano ancora i segni di quando qui ci abitava gente. Sotto strati e strati di intonaco e vernice si intravedono gli affreschi, segno di un’antica bellezza sovrastata dalle necessità del vivere quotidiano. «Lo scriva: se si presentasse un imprenditore illuminato intenzionato ad aprire qui un’attività in cambio della sistemazione di quest’ala lo accoglieremmo a braccia aperta» quasi intima Facchini. I locali sono stupendi, la vista sulla campagna è da cartolina.

Un imprenditore coraggioso (e un po’ visionario, diciamolo) potrebbe ricavarci un ristorante a varie stelle con annessa scuola di alta cucina. Roba di classe. Roba che il prossimo “Master Chef” lo girano qui. Statene certi.

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