Ricatti e mobbing sul lavoro

Martedì mattina è entrata in azienda, si è chiusa nel bagno e pillola dopo pillola ha tentato di ammazzarsi. Di assopire una volta per tutte la disperazione in quelle piccole pastiglie, prescritte guarda caso per non sentire il dolore. Lei, romena e mamma di tre figli, aveva deciso che non aveva più senso lottare contro il colosso della logistica che da mesi la faceva sentire non come una donna di 43 anni ma come un «tumore da estirpare». Fortunatamente non è riuscita nel suo intento.

Questo è il secondo tentato suicidio nel giro di due mesi, la seconda tragedia che la Cisl si è trovata ad affrontare.

A marzo era toccato a un’altra donna, impiegata in un’altra azienda dello stesso settore e con un grave lutto famigliare impossibile da lasciarsi alle spalle. Dopo una serie di ricatti e punizioni, dall’oggi al domani era passata dal solito incarico in reparto ad addetta delle pulizie. Così una volta a casa aveva cercato di togliersi la vita, l’avevano salvata appena in tempo il marito e la figlia.

Aveva paura di perdere il posto, la lavoratrice che martedì ha provato a farla finita. E in nome di quella paura ha accettato di tutto.

«Si chiedeva spesso “adesso come facciamo? dove andremo a finire?”», racconta il marito, il quale ripercorre la storia degli ultimi anni, trascorsi in un’azienda da 250 dipendenti, «8 o 10 ore senza parlare, perché se parlava scattava subito il richiamo, se diceva quello che pensava o se evidenziava che qualcosa non andava, ogni scusa era buona per affidarle incarichi che non le spettavano. Quando si è ammalata e ha avuto due ernie, nonostante l’intervento del medico legale hanno solo fatto finta di spostarla in un altro reparto. Era considerata un problema da rimuovere».

Di storie come questa, ce ne sono tante. La Cisl ha intenzione di intervenire “pesantemente” nei confronti del colosso in questione coinvolgendo le altre organizzazioni. L’azienda è stata definita più volte «totalmente impermeabile al sindacato». La situazione, infatti, era nota da tempo: «Tanti lavoratori sono venuti a lamentarsi ma poi ci chiedevano di non intervenire - spiega Giorgio Tornusciolo della Fit Cisl -, una confusione dettata dalla paura, continuavano a domandarsi se fosse più giusto fare qualcosa o stare zitti. Oggi abbiamo tutti gli elementi per agire contro questo clima da campo di concentramento, è vero che il lavoro è necessario ma a tutto c’è un limite. Se non ci muoveremo per tempo anche la pianura padana rischierà di affrontare casi simili a quelli della Cina, dove si stima un suicidio al giorno». Tornusciolo, sgomento e affranto per l’accaduto ma pronto a dare battaglia affinché sulla faccenda non cali il silenzio, si chiede «come sia possibile per una persona arrivare a crollare in una società che si ritiene solidale, allora vuol dire che siamo caduti tutti nell’oblio».

Il sindacato non resterà inerme di fronte al dramma. «Sfatiamo un mito - dice subito Mario Uccellini, segretario generale della Cisl per Lodi, Cremona e Mantova -: queste cose non accadono solo nel mondo della logistica. Il rischio è quello di farci l’abitudine, ci sono decine e decine di casi nei quali uno resiste oppure soccombe, a seconda delle situazioni e delle storie personali. Nelle aziende sta avvenendo il contrario di ciò che dovrebbe avvenire in tempi di difficoltà: è scaduta ai minimi termini quel briciolo di solidarietà collettiva che c’era, se non sei direttamente toccato da un problema... te ne freghi. Tutti dovrebbero semmai darsi una mano, invece è preferibile che qualcun’altro anneghi, “basta che non succeda a me”». Uccellini e Tornusciolo sono convinti che «nessuno deve farsi rubare la speranza».

Sullo sfondo, mentre si cerca di curare le ferite in un reparto d’ospedale, l’angosciante domanda di questa donna - fragile e forte tutto in una volta sola, verrebbe da dire - rimbomba nel tunnel della crisi: un lavoro vale una vita?

Martedì mattina è entrata in azienda, un colosso della logistica, si è chiusa nel bagno e pillola dopo pillola ha tentato di ammazzarsi. È il secondo tentato suicidio nel giro di due mesi che la Cisl lodigiana si è trovata ad affrontare. A marzo era toccato a un’altra donna, impiegata in un’altra azienda dello stesso settore. Per la Cisl è la conseguenza di un clima «da campo di concentramento».

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