Qui nacque la patrona dei migranti

È una mattina del 1995 a Sant’Angelo. Sono le sette. Come d’abitudine Bruno Cerri, al bancone del bar all’angolo fra via Diaz e via Madre Cabrini, ordina un caffè prima di andare al lavoro in tipografia. Mentre porta la tazzina alla bocca nota al di là della vetrina una comitiva di turisti, scesi da un pullman, addentrarsi con difficoltà in quella giungla che era una volta piazza XV Luglio. «Erano americani - racconta ora Cerri - venuti a rendere omaggio al monumento di Santa Cabrini ma la piazza era in condizioni disastrose. L’erba era tanto alta che non si vedevano più i vialetti che peraltro, non essendo pavimentati, erano ridotti a strisce di fango su cui camminare in fila indiana». Una signora del gruppo si stacca dalla coda e prova a fendere l’erba. Mossa sfortunata: calpesta qualcosa che avrebbe preferito non calpestare. «A quel punto la signora fa un gesto di stizza, si gira e se ne va». Cerri manco lo beve quel caffè: «Mi era salita una vergogna in petto... Era mai possibile che venissero dall’America a salutare Santa Cabrini e noi barasini la trattavamo così? Ho appoggiato la tazzina ancora piena e sono uscito». Il giorno dopo Cerri è in Comune. Chiede di potersi occupare della piazza. Tutto gratis. Puro volontariato. Gli rispondono di sì. Cerri si mette al lavoro: taglia l’erba, pulisce, sistema. Altri barasini cominciano a dargli una mano, si forma un gruppo, arrivano offerte e contributi.La piazza rinasce e pochi mesi dopo, a missione compiuta, un’altra idea prende forma: dopo avere fatto rinascere la piazza che la ricorda, fare rinascere la casa dove la Patrona degli emigranti è nata.L’abitazione era stata acquistata dalle Missionarie del Sacro Cuore da lei fondate nel 1929 (o nel 1931, la data esatta non è certa) spronate in questo da don Nicola De Martino, sacerdote di Sant’Angelo fedele al culto della Santa. Da allora si erano succeduti diversi interventi di restauro (tra cui, nel 2008, la sistemazione del cortile con l’acciottolato originario) ma quello che mancava era una presenza fissa, quotidiana, di persone che aprissero alla comunità le stanza in cui la Santa mosse i primi passi e ne avessero cura. Il gruppo di volontari che si è formato nel tempo attorno a Bruno Cerri fa, tra tantissime altre cose, anche questo: «Ogni giorno apriamo la casa a tutti coloro che vogliono anche soltanto fermarsi qualche minuto in preghiera». Basta socchiudere la porta ed entrare, magari dopo avere accarezzato il busto della Santa all’ingresso come visto fare da una signora durante il nostro sopralluogo. In una stanza a piano terra è stata ricavata una piccola cappella con un quadro del Sacro Cuore e in una teca c’è una reliquia della Santa. L’altra stanza al piano terra è la cucina, arredata con pochi oggetti appartenuti alla famiglia della Santa (tra cui la panca di famiglia, con il cognome inciso sopra, usata nella basilica)e corredata da alcuni pannelli che ne illustrano le origini e la storia. Sul retro si accede al cortile (vi si tengono iniziative e incontri) mentre al piano superiore ci sono tre stanze ricche (anche dal punto di vista simbolico) di cimeli e ricordi. In quella dove la Santa nacque il 15 luglio 1850 ci sono una cassapanca, la cattedra che molti attribuiscono alla scuola di Vidardo dove Santa Cabrini insegnò prima di farsi suora («Un mobile adattato a questo scopo» spiega Cerri indicando alcuni cardini la cui presenza apparentemente non ha senso) e una vetrinetta con un atlante, una squadra di legno, un calamaio e altri reperti. Nella stanza dei “viaggi missionari” ecco il simbolo di questa donna: il mantello di lana di alpaca che Madre Cabrini indossò per attraversare a dorso di mulo (letteralmente) la Cordigliera delle Ande nel 1895. Nelle altre vetrine - fra le tante cose - anche una borsa, un portamonete, pantofole (piccolissime, ce la si immagina minuta) e la “Guida generale degli Italiani negli Stati Uniti” del 1890, antesignana delle nostre Pagine gialle. Infine ecco la camera da letto (ricostruita qui) che usava durante i suoi soggiorni a Milano all’Istituto di Corso di Porta Romana. Oggi la casa natale è visitata da una media di visitatori che oscilla tra i 2.500 e i 3mila all’anno. Soprattutto americani («In Italia riesce difficile immaginarsi quanto Santa Cabrini sia famosa e conosciuta da quelle parti») ma anche da Australia, Sudamerica o Germania dove, tanto per fare un esempio, a Offenstetten (città a Nord di Monaco) alla Santa è intitolata una modernissima scuola. Un turismo religioso, certo, ma carico di tanti significati sotto traccia. Non ultimo, quello di riflettere su argomenti mai tanto d’attualità come l’emigrazione, la ricerca di una vita migliore, lo sradicamento dai propri luoghi d’origine. «In un’epoca di popoli in movimento come questa - è l’invito di Cerri - dobbiamo fermarci un momento, abbandonare certi schemi mentali e meditare su quello che Santa Cabrini ci ha lasciato, in scritti e opere». Un appello ai barasini: se incrociate per strada Cerri (ma l’invito vale per ognuno dei volontari)fermatevi a fare due parole e offritegli un caffè. Sarà come chiudere un cerchio aperto da quel caffè rimasto in sospeso dal 1995. Il modo migliore per ringraziare queste persone per tutto quello che fanno.

(A)titolo link

© RIPRODUZIONE RISERVATA