«Prima di tutto il lavoro, perché senza nuova occupazione non c’è sviluppo»

«Il problema principale non è andare di qui o di là, ma rilanciare il nostro territorio i cui limiti sono stati messi nero su bianco dalla crisi. E per far questo occorre attirare lavoro. Io propongo la definizione di un protocollo istituzionale che agevoli l’insediamento di nuove attività».

Mauro Sangalli, segretario generale dell’Unione artigiani di Lodi, sul futuro del Lodigiano ha le idee chiare. Condivisibili o meno, ma chiare. Andiamo pure con Milano, dice, poi però impegniamoci a portare qui il lavoro e spianiamo la strada, senza remore ambientaliste o eccessivi scrupoli paesaggistici, alle imprese della metropoli. Perché senza nuova occupazione non c’è sviluppo.

La proposta è coraggiosa. Per qualcuno sarà anche indecente…

«Io credo che per il nostro territorio l’unica via d’uscita sia attrarre nuovi investimenti. Mi saltino pure addosso per quello che sto per dire, però la Tem potrebbe permettere alle aziende milanesi di delocalizzare la loro attività su questa infrastruttura e di portare nuovi insediamenti sul nostro territorio».

Si prepari a respingere l’assalto…

«Pensino quello che vogliono tutti quei comitati che nascono come funghi. Non è più tempo di respingere nuove occasioni di sviluppo: la chimica e la logistica non ci vanno bene? Io dico che invece dobbiamo portare qui quelle aziende che vogliono investire sul nostro territorio. E che bisogna agevolare il loro insediamento, soprattutto per le pratiche burocratiche».

Da chi dovrebbe essere sottoscritto il protocollo?

«Dalle istituzioni locali, amministrative ed economiche. E naturalmente da tutti i Comuni. Si tratterebbe di una pratica di marketing che molti territori stanno già attuando, non solo in Lombardia».

E l’agricoltura, l’ambiente, la salvaguardia del territorio di cui tanto si parla in questo dibattito?

«L’agricoltura rappresenta solo il 2-3 per cento del Pil del Lodigiano, quindi non si può pensare di rilanciare l’economia solo con l’agricoltura».

Però si potrebbe rilanciare la catena dell’agroalimentare. Qualcuno ci crede…

«Forse ci siamo dimenticati del fatto che dopo un anno dalla costituzione della Provincia la Polenghi aveva già cominciato a perdere i suoi marchi. È stato un punto di non ritorno, la politica e il mondo economico non sono intervenuti».

Un esempio?

«Dalla Polenghi si sarebbe potuti ripartire in sinergia con la Santangiolina e creare un polo industriale e un piccolo polo artigianale a supporto. Invece negli ultimi anni abbiamo puntato sull’agroenergetico”.

Ormai è troppo tardi? È questo che pensa?

«Penso che in questi vent’anni non siamo stati capaci di costruirci una vera identità neppure in questo campo, anche la Stella Bianca l’abbiamo venduta ai trentini. Tra le aziende importanti ci è rimasta solo la Ferrari Formaggi. Si sarebbero potute recuperare le aree dismesse, definire una crescita coordinata e più efficiente non a svantaggio dell’agricoltura. Ma così non è stato».

In quali altri campi saremmo stati deficitari?

«Nonostante la Provincia abbia cercato di fare attività di coordinamento, ogni comune ha fatto cassa a sé e questo ha impedito al territorio di maturare una propria identità. Dopo l’agroalimentare è stata smantellata anche la media azienda. Poi il territorio ha vissuto sull’edilizia fino a quando la bolla non è scoppiata. E in questi ultimi otto anni abbiamo perso più di ottocento imprese artigiane, molte delle quali proprio nel campo delle costruzioni. Anche il manifatturiero è in difficoltà, mentre i servizi hanno dovuto far fronte al calo dei consumi. Aggiungo che non abbiamo neppure provato a puntare sul terziario avanzato, sulla scia del successo della Zucchetti. E così, mentre oggi a nord della Regione i territori si stanno riprendendo, noi siamo rimasti al palo».

Come ci schiodiamo?

«Potremmo ripartire dal Parco tecnologico e da nuove occasioni di sviluppo, sempre che si voglia guardare all’economia con un atteggiamento di apertura. La Snam cinquant’anni fa voleva venire a Lodi, non l’abbiamo voluta. Ora però dobbiamo aprirci anche come cittadini, abbiamo potenzialità sul territorio, dobbiamo sfruttare tutti i punti di sinergia».

E la Città metropolitana?

«Potrebbe essere il nostro porto naturale, e potrebbe essere uno stimolo sotto l’aspetto innovativo. Ma, ripeto, dobbiamo essere noi ad attirare lavoro. Se una volta Milano poteva essere un approdo per chi cercava lavoro, ora non è più così. Non conta avere una, tre o dieci poltrone nella Città metropolitana. Conta mantenere i servizi e attrarre qui gli investimenti per recuperare il gap occupazionale che ci ha portato in questi anni di crisi ad essere un territorio più povero».

Come ci entriamo nella Città metropolitana? Chi, secondo lei, dovrà rappresentarci?

«Dovremo fare sistema, associativo, sindacale e bancario. Dovremo costruire un pacchetto ad hoc per l’occupazione sul nostro territorio sveltendo le pratiche burocratiche per le nuove attività. La Conferenza dei servizi era nata con lo scopo di semplificare le cose, ma se un imprenditore fa domanda anche solo per l’ampliamento della sua attività passano anni e non è detto che la risposta sia positiva. Tutto questo deve essere superato».

Bisognerà però tenere conto delle risorse in campo…

«Certo, la Città metropolitana non gode di buona salute. E dobbiamo sempre ricordarci che la riforma delle Camere di commercio determinerà il taglio delle risorse. Anche nell’eventuale futura Camera di commercio di Milano dovremo fare i conti con i tagli. Fondamentale sarà il ruolo di sinergia tra politica e mondo economico. Dobbiamo remare dalla stessa parte. Diversamente diventeremo una dépendance di Milano».

Ma sulla rappresentanza cosa dice?

«Che la Camera di commercio è la casa degli imprenditori. Bisogna ripartire da lì, senza dimenticarci del ruolo importante che anche Assolombarda può giocare in questa fase. Visto che le regole della riforma delle Camere di commercio sono già definite e che Gendarini è già al lavoro, su mandato del Consiglio, per trovare un’intesa con Milano, tanto varrà valutare la possibilità di aprire un discorso più ampio con la Città metropolitana».

Insomma, la Camera di commercio, nonostante le proprie incombenze, potrebbe essere la nostra ambasciatrice? È questo che intende?

«Diciamo che potrebbe essere il viatico per il ritorno a Milano. Ma anche la politica dovrà fare la sua parte. I due aspetti devono andare avanti di pari passo».

La squadra di sindaci da sola non potrebbe bastare?

«Oltre alla politica è importante anche l’aspetto economico. Economia significa benefici per la comunità. In ogni caso non conta il numero delle persone, ma la qualità. Ne potrebbe bastare anche una sola di persona».

Pensa che alla prova dei fatti ci sarà quella compattezza del territorio da tutti auspicata?

«Penso di sì. Non credo che ai comuni della Bassa gioverebbe un eventuale avvicinamento al territorio di Piacenza, che non è tra quelli più ricchi dell’Emilia. Senza contare che è Piacenza che vorrebbe venire da noi…».

Sull’operato del governo cosa dice?

«Che dovrebbe favorire la ripresa dei consumi interni e mettere in campo nuovi sgravi per le imprese e abbassare il costo del lavoro, a vantaggio di imprenditori e lavoratori. Io sono contrario all’idea di non far pagare l’Imu sulla prima casa, sarebbe meglio concentrare tutte le risorse per diminuire le tasse alle imprese. I cento o duecento euro risparmiati dall’Imu non ti cambiano la vita».

Null’altro?

«Che non c’è progettualità di investimenti, che sulla burocrazia non riesce ad incidere e che il Jobs act sta portando più trasformazioni di contratti che nuove assunzioni. Risulta anche al nostro osservatorio».

Fiducioso nel futuro del Lodigiano? Scommetto di sì, anche i più polemici alla fine si dicono fiduciosi…

«Uno dei nostri difetti è di non pensare in grande. E di voler restare nella nebbia. Ora però è arrivato il momento di non guardare più soltanto ai nostri campanili e di avere orizzonti più ampi, come accade in altri territori vicini a noi. Nel Bresciano e nel Bergamasco si respira già un’aria diversa. Detto questo, anch’io sono fiducioso. Penso che da questa crisi potremo uscire più forti. L’importante sarà ripartire uniti, senza più nessuno che voglia fare il primo della classe».

Andrea Soffiantini

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