Pierdante Piccioni: «Non ci sono pazienti,

ma persone»

Venti storie di pazienti, anzi, no, di persone. Sono quelle raccolte dal primario del pronto soccorso di Codogno Pierdante Piccioni nel suo secondo libro che presto andrà in stampa. Il suo primo lavoro, Meno dodici , edito da Mondadori, e scritto con Pierangelo Sapegno, nel frattempo, ha già venduto 13mila copie. Presentazioni sono programmate ancora, di continuo, in tutta Italia. In questi giorni Piccioni sarà a Castiglioncello, Castiglione della Pescaia, val di Comino nel verde della Ciociaria, ma anche Grado, San Remo e Lecce. Nei giorni scorsi, il medico è stato invitato da Studio aperto e nelle prossime ore è prevista una registrazione per Odeon Tv. La storia è nota: l’ultimo giorno di maggio del 2013 Piccioni, allora primario del Pronto soccorso di Lodi, fa un incidente sulla tangenziale di Pavia, va in coma e quando si risveglia ha perso 12 anni di memoria. Per lui è ancora il 25 ottobre del 2001, ha appena accompagnato a scuola Tommaso, uno dei suoi due figli, nel giorno del suo ottavo compleanno e sta per andare a fare il medico al Pronto soccorso di Crema. In realtà Piccioni non ha più 42 anni, i suoi bambini in età da coccole sono due studenti con un po’ di barba e l’adolescenza addosso, lui è primario a Lodi e ha innumerevoli incarichi scientifici nell’ambito della medicina d’urgenza. La mamma non c’è più, la moglie è reduce da una brutta malattia e Piccioni, guardandosi allo specchio, non si riconosce piú. Ci vogliono «gli strizza cervelli» e la pazienza di amici e parenti per fargli inghiottire in una sola volta l’incubo, incredibile, nel quale si è trasformata la vita. La sua storia ha fatto il giro del mondo, per i risvolti umani, ma anche scientifici: i casi come il suo si contano sulle dita di una mano. È stata una brutta lesione al cervello, causata dall’incidente, a procurargli il buco nero. I medici dicono che la memoria resterà persa per sempre. Ormai però, per lui, non è più un problema. Ci sono le persone che gli restituiscono i ricordi. E di queste restituzioni Piccioni si nutre per ricostruire la sua identità. La sua memoria ora è quello che gli dicono gli altri. Per tornare in campo come medico e primario ha dovuto studiarsi i 12 anni di passi avanti compiuti dalla medicina. E lottare con l’azienda che, racconta lui, l’aveva condannato, relegandolo a mansioni diverse dalla sua. Ce l’ha fatta, non solo è primario a Codogno, ma la sua storia è diventata utile agli altri. Piccioni lo ribadisce sempre: «Ho scritto per me, ma anche perché tante persone sappiano che la disabilità ė un’etichetta che gli altri ci appiccicano addosso».E ora, che è stato anche lui disabile e paziente, fare il medico è tutta un’altra cosa. «Per me - dice - i pazienti non sono pazienti, ma persone. E il mio secondo libro è questo, storie di persone. Un giorno, quando lavoravo ancora all’ufficio formazione, mi ha fermato un uomo. Mi ha visto, si è messo a piangere. «Voglio restituirle un ricordo», mi ha detto. Era il 2006, sua figlia era andata con gli amici a festeggiare l’Italia campione del mondo. Il giorno dopo stava male, un mal di testa incredibile le toglieva il respiro. «Colpa dei bagordi notturni», le aveva detto il medico di famiglia. Già. Arrivata in Pronto soccorso, da me, le avevo diagnosticato, invece, la meningite. E la ragazza che stava per morire, si ė salvata per un pelo. Quel papà quel giorno non finiva più di ringraziarmi. La stessa cosa mi è capitata, la scorsa settimana con la donna di 40 anni di Codogno: è arrivata in Pronto soccorso con la febbre e il mal di testa. Poteva essere influenza, ma io, che sono stato dall’altra parte della barricata, ho saputo ascoltarla. «Sento come se si rompessero i capillari», mi ha detto. Se sappiamo ascoltare i nostri malati, le informazioni che ci danno sono preziose. Quei capillari che si rompevano erano le prime petecchie che si formavano, segno dell’infezione che stava inesorabilmente avanzando, strappandole i suoi 40 anni. Due storie analoghe, questa e quella del 2006, solo che oggi, a differenza di allora, mi ricordo di quello che ho fatto. Con tutto ciò che riguarda il cervello devo avere una specie di calamita». Queste e altre, ancora top secret, sono le storie che il medico scrittore ha deciso di raccontare nel prossimo libro. Vicende di persone che ce l’hanno fatta, ma anche di quelle che, nonostante gli sforzi, se ne sono andate. In quei casi Piccioni ha dovuto solo alzare gli occhi al cielo, come facevano mamma e papà. «Da quando sono stato ammalato anche io - ribadisce - penso prima alla persona che ho davanti e poi alle regole della professione: coinvolgo la famiglia, ascolto, condivido, mi emoziono. Ad avere la priorità è l’aspetto comunicativo, quello che ci ha insegnato Ippocrate e quello per cui ho deciso che dovevo combattere: tornare in ospedale a fare il medico, non il disabile in ufficio».

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