Petrolio nel Lambro, il processo si arena

Si è aperto ieri mattina ma è stato subito rinviato all’8 luglio per questioni preliminari il processo a Monza a carico dei quattro imputati per disastro colposo e reati fiscali per lo sversamento di un migliaio di tonnellate di olio combustibile, la notte del 22 febbraio 2010, dal deposito della Lombarda Petroli di Villasanta. A giudizio innanzi, per ipotesi che potrebbero portare a una condanna a oltre dieci anni e a ingenti risarcimenti, sono andati i cugini Giuseppe e Rinaldo Tagliabue, proprietari del deposito di oli minerali, e due loro dipendenti: l’ex direttore di stabilimento M.C. e l'ex custode G.C.

La scelta di affrontare il processo, hanno sempre sottolineato i difensori, è per difendersi da un teorema senza prove. Secondo i pm di Monza lo sversamento, effettuato da esperti che avevano dovuto anche azionare nottetempo pompe elettriche per far finire gli oli nelle fogne, sarebbe stato causato intenzionalmente per rendere impossibile determinare la presenza di idrocarburi stoccati “in nero”. Sempre secondo i pm, in azienda si temeva un imminente controllo fiscale. Sotto questo profilo, la Lombarda ha già pagato 902mila euro di Iva arretrata all'erario, e dietro l’ipotesi di una “doppia contabilità” i due contabili hanno evitato il processo patteggiando pene sospese dal gup.

Ma i responsabili dell'azienda continuano a sostenere che quel sabotaggio fu operato da terzi a loro danno, magari per motivazioni legate a speculazioni edilizie sull'area. Solo la bonifica interna al deposito era costata alla Lombarda Petroli 800mila euro, e l'olio di proprietà di terzi e tenuto in deposito avrebbe anche dovuto essere rimborsato ai proprietari, per un milione di euro.

Il risultato fu, comunque, un’onda nera che saturò il depuratore di Monza San Rocco e finì nel Lambro, raggiungendo anche lo sbarramento di Isola Serafini, nel Po, con una mobilitazione mai vista di forze pubbliche e aziende private per la bonifica. Il governo stanziò 3 milioni di euro, Regione Lombardia 20. Nessun ente lodigiano o sudmilanese è costituito parte civile, c’è invece Legambiente Lombardia, il cui responsabile legalità Sergio Cannavò osserva: «Spesso, se gli imputati per reati ambientali sono “colletti bianchi”, i tempi lunghi vanificano l'azione penale».

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