Ospedali, la grande fuga da Lodi

Oltre il 36 per cento di lodigiani va a farsi curare altrove. Il 60,5 per cento lo fa per un intervento ortopedico e il 56,6 per un’operazione urologica. Tasso alto di fughe si riscontra anche in chirurgia generale, con il 39,7 per cento. I lodigiani fuggono addirittura per la chemioterapia: il 64,6 per cento si rivolge in un’altra struttura.

L’Asl di Lodi ha presentato tutti i dati del 2014 elaborati dal dirigente dell’Azienda sanitaria Antonio Nava ai sindaci del territorio presieduti dal primo cittadino del capoluogo Simone Uggetti. Alla presenza del direttore generale Fabio Russo e dei suoi collaboratori, Nava, nei giorni scorsi, ha descritto nero su bianco la situazione della sanità locale, reparto per reparto. La percentuale di fuga conteggiata questa volta è reale. I numeri, infatti, tengono già conto di quanti vanno altrove per alte specialità non presenti a Lodi (come cardiochirurgia o neurochirurgia) o perché abitano in un comune al confine con un’altra provincia. I cittadini di San Rocco, per esempio, è normale vadano a farsi curare a Piacenza e l’Asl ne ha tenuto conto. Il 36,6 per cento, insomma, fugge proprio perché non si fida delle strutture lodigiane.

«Viene da chiedersi se in questi anni - commentano i medici - si sia puntato o no al rilancio delle strutture ospedaliere del territorio». Per quanto riguarda l’urologia, 800 pazienti in questi ultimi 4 anni sono andati a farsi operare a Cremona, dall’ex primario di Lodi Carlo Del Boca. «Molti malati urologici- spiega l’Azienda ospedaliera in una nota - vanno a farsi operare da lui oppure in cliniche specializzate. In Lombardia abbiamo dai 5 ai 7 centri che usano la tecnica robotica. Anche la fuga dalla chirurgia generale non ci stupisce. I lodigiani vanno in centri dove si affrontano centinaia di interventi. Ma è una tendenza generale che non riguarda solo Lodi. La fuga per le chemioterapie fa parte di un retaggio culturale. La gente va a farsi operare di tumore altrove e poi resta in quei nosocomi anche per la chemioterapia. In ortopedia adesso abbiamo un primario nuovo e l’obiettivo è proprio quello di risollevare l’attività tranne in alcuni settori che funzionano come la chirurgia della mano al Maggiore piuttosto che l’artroscopia del ginocchio a Codogno».

Se l’ospedale di Lodi va alla grande nel reparto materno infantile, una cosa è certa, gran parte del merito è dell’anestesia epidurale garantita 24 ore su 24, mentre nei centri vicini tutto questo non c’è. Un punto nero, invece, è la riabilitazione con il 55,4 per cento di fughe. Il progetto di creare una piccola Montescano del Lodigiano è tramontato e l’emorragia di pazienti non si ferma. Il personale è polemico. «Abbiamo scelto di mettere la riabilitazione respiratoria a Sant’Angelo dove adesso è partito il Pot (Presidio ospedaliero territoriale) - dicono -: i pazienti ventilati restano di notte con un solo medico di guardia mentre a Codogno c’era la rianimazione». Se i presidi lodigiani volessero crescere lo spazio per farlo non è molto. «Abbiamo solo un potenziale di posti letto per altri 5mila ricoveri - annuncia Nava - e l’area medica ha già un indice di occupazione del 90 per cento». Un fenomeno questo contestato poco tempo fa dalla stessa maggioranza politica in città. Se l’inverno sarà particolarmente rigido i medici lodigiani dovranno ricominciare la caccia quotidiana a un letto libero al di fuori della provincia. Resta sullo sfondo la domanda dei consiglieri comunali «Come mai l’Azienda ospedaliera ha rinunciato ad aprire i suoi 700 letti già accreditati e nel corso degli anni ha perso medici e primari di spicco?».

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