Museo Archinti, un’isola di umanità

Fosse vivo, sicuramente Ettore Archinti sarebbe felice di vedere il museo che gli è stato dedicato a cascina Callista Anelli a Lodi. Perchè, al di là del materiale esposto, dei criteri scelti dai curatori, delle luci e di altri tecnicismi da esperti museali, la prima cosa che colpisce quando si entra alla Callista è la percezione di quanto questa cascina sia un luogo di aggregazione. C’è la sede della cooperativa intitolata proprio al sindaco socialista di Lodi, ci sono le abitazioni di alcuni giovani artisti (uno di loro, Luca Armigero, sarà la nostra guida durante la visita), ci sono le sedi lodigiane di numerose associazioni (dai paracadutisti allo Juventus Club, c’è davvero di tutto), c’è il circolo con gli anziani che leggono il giornale e parlano, c’è il mercato settimanale degli agricoltori, c’è la grande corte con la pista da ballo e i tavoli di plastica tutto attorno. Un luogo di aggregazione, di ritrovo, di conoscenza reciproca.Ecco, piace immaginare che Archinti, uomo (prima che scultore) che aveva fatto della solidarietà la propria ragione di vita apprezzerebbe innanzi tutto questo. Fatta questa premessa, il museo. Nasce nel 2008 in forma spontanea come raccolta, si struttura e prende forma nel 2012 grazie a un gruppo di artisti e storici dell’arte: Luca Armigero, Nico Galmozzi, Stefano Gerardi (tre artisti che hanno abitazione e laboratorio proprio a cascina Callista Anelli), Paola Fenini,Cristina Viano e Dritan Mardodaj. Creano un comitato scientifico e in forma volontaria, senza retribuzione alcuna, si occupano della sistemazione dell’esistente e della ricerca di altre opere di Archinti, nato a Lodi il 30 settembre 1878 da genitori commercianti di tessuti, fervente socialista e sindaco del capoluogo dal 1920 al 1922. Comincia così un lavoro di ricerca e recupero delle opere di Archinti sparse per l’Italia e per il mondo, un lavoro purtroppo oggi interrotto dalla mancanza di fondi pubblici e contributi.Molti sono i bronzi e i gessi provenienti (in forma di donazione o comodato) dalle case di lodigiani, non pochi quelli provenienti da altre regioni e nazioni.Come Una madre, opera raffigurante una capra che allatta il piccolo, proveniente dalla collezione privata di una famiglia residente tra Como e la Svizzera. Conoscevano Archinti per il suo impegno clandestino nell’aiutare prigionieri e ricercati da nazisti e fascisti a fuggire oltre confine. «Sappiamo della presenza di sculture di Archinti a Londra - spiega Armigero -. Ma la mancanza di contributi e aiuti economici non permette di compiere alcuna ricerca sul posto, tanto meno pensare di riuscire ad acquistarne qualcuna». È capitato anche che qualcuno abbia proposto in vendita al museo opere di Archinti. In alcuni casi originali, in altre copie: «Nei decenni successivi alla morte di Archinti furono realizzate numerose copie di sue opere, fatte partendo da gessi. Oggi li riconosciamo da particolari quali il colore assunto dal bronzo, la firma, la data». Qualcuna è custodita nel magazzino del museo.In altri casi sono stati volutamente creati “cloni” dei suoi calchi, come nel caso del San Francesco sulla scala d’ingresso. Oltre alle opere esposte (bronzi, gessi e calchi) c’è un archivio cartaceo ricco di documenti originali quali giornali d’epoca, libri e pubblicazioni clandestine a disposizione di studenti e ricercatori. Gratuitamente, così come gratuito è l’ingresso al museo che ospita, al piano terra, uno spazio per i giovani artisti. Nello spirito di Archinti, arrestato il 21 giugno 1944 e portato al carcere di San Vittore a Milano per la sua attività clandestina di aiuto a prigionieri di guerra e perseguitati dal regime. Mentre i poliziotti salivano a prenderlo ebbe tempo di lasciare scritto su un biglietto la frase «Coraggio miei cari, l’amore è eterno ed io per sempre resterò fra voi». Sono le sue ultime parole scritte. Fu deportato a Bolzano, poi inviato al campo di sterminio di Flossemburg dove morì il 17 novembre 1944.

(A)titolo link

© RIPRODUZIONE RISERVATA