Laura Covelli e l’“Albero delle lingue”

Così il mondo si impara dalle radici

Laura Covelli, insegnante d’inglese nella scuola pubblica, gestisce un istituto di lingue a Codogno chiamato non a caso The Tree of Languages , l’Albero delle Lingue. Tutto normale? Macché. Che ci sia qualcosa di vero e bello alle spalle, lo si capisce subito dal volto di pellerossa inciso sull’anello. È tutto un gioco di radici e rami la sua vita, di viaggi e ritorni, pari i primi, dispari i secondi. Viene da Caselle Landi, piccolo paese agricolo sulla frontiera della provincia lodigiana, due passi dal fiume Po. Il padre, Giuseppe, ha una piccola azienda agricola al Mezzanone, insieme alla moglie. Laura cresce tra erba e trattori. Sua madre ha imparato tutto ciò che fanno anche gli uomini: lei non è da meno, senza perdere in femminilità. Racconta: «Ho sempre dato una mano, fin da piccola, sono figlia unica». Nel 1998 si trasferisce a Modena per gli studi: si laurea dopo l’Erasmus in Francia. Si accosta al mondo del no profit e dei progetti di cooperazione. Senza aspettarselo, anzi con un bel colpaccio, trova occupazione all’Unicef, agenzia delle Nazioni Unite; è a Milano, dove rimane cinque anni, avanti e indietro dalla lande di “finis terrae”.

«Oggi abito ancora lì, al Mezzanone, mi è molto difficile staccarmi. In città dopo un po’ soffro. Adoro le persone, ma ho bisogno di momenti in cui appartarmi, camminando nei campi con me stessa. Detto questo non è stato semplice crescere in aperta campagna, si è isolati da tutto, anche dagli amichetti. L’infanzia l’ho passata all’aperto, con animali, vacche da latte, polli, cani. Mi piazzavano in un bidone, in mezzo alla stalla, nessuno ci curava. Ci si arrangiava da soli. Era un mondo un po’ differente rispetto ad ora. I miei non hanno voluto mandarmi a scuola il pomeriggio, così me ne inventavo di ogni. Il rapporto col fiume è cominciato molto tardi. Era vietato arrivare fino a là. Non s’andava, punto. D’estate, quando s’irrigava, c’era l’acqua molto alta nei fossi, andavo lì a fare il bagno. I grandi s’arrabbiavano quando finivo vicino alla turbina».

Scuole a Caselle, fino alle medie, poi Romagnosi a Piacenza, perito aziendale. Dopo il periodo di pendolarismo verso Milano, decide di stare con i suoi in cascina. «Ho lavorato come interprete e traduttrice per un agricoltore americano, tramite Slow Food; si tratta del modello del consumatore che sostiene il produttore». Racconta, venendo alle radici, del nonno Egidio, che ogni notte dormiva in un posto diverso, con l’incubo di esser catturato dai nazisti. «Ho scritto per anni uno speciale per il giornalino locale, Caselle Informa: uno spazio per condividere memoria, passando pomeriggi con gli anziani del posto». Radice e mondo, fanno la persona Laura. Che non dimentica di alimentarsi dalla terra da cui viene. «Cercando di sfruttare quel che avevo studiato, ho pensato di inserirmi nel mondo dell’istruzione, con progetti legati alle comunità nel mondo poco servite, anche nei paesi occidentali». Di fatto vuole portare il mondo a Caselle Landi, non la cultura “global” ma una lingua che serva a conoscerne mille altre: al momento l’inglese. Dalle radici ai rami.

Si mette a organizzare grest in lingua per i bambini del paese, ogni anno una quarantina. S’impegna volontariamente e impegna volontari. Il progetto ha un nome simpatico: Countryside school of English, scuola d’inglese in campagna. Durante questi corsi, non manca la possibilità di fare sport. Viene inizialmente accolta con scetticismo. «Ma come si fa a giocare a calcio inglese?», le fanno notare. Potenza dei bambini. Proprio così si imparano le lingue e ci si arricchisce scambiando esperienze. È diverso crescere in Irlanda e a Caselle Landi: ma il cielo è grande uguale.

Tutti vengono ospitati nelle case degli abitanti del posto, o in parrocchia. Questa bella cosa accade da sei anni. «L’obbiettivo è portare un servizio di qualità in un posto dimenticato, visto come strano, con uno spazio verde enorme, incentivando l’uso delle lingue straniere nella vita di tutti i giorni».

La cosa è aperta anche ai bambini di fuori paese: molti, avendo i nonni qui, vengono da Milano in estate. «Andiamo avanti finché ci sono volontari, tutto luglio e una parte di agosto. Così garantiamo l’accesso alla lingua straniera a chi non lo può avere».

Laura ha sempre lavorato nell’ambito del volontariato, fin dai vent’anni, dai venticinque con la Protezione civile; c’è poi il progetto educational del festival con i ragazzi delle scuola, «mi ha arricchita come insegnante e come persona». Tutti progetti che non nascono dalla follia, ma da metodologie studiate e apprese nei viaggi negli Stati Uniti. Oggi cerca di aiutare i bambini ad avvicinarsi all’idea di stagionalità dei prodotti della terra. «Le conoscenze dei nostri nonni si stanno perdendo, per colpa di una generazione di mezzo che non ha fatto da tramite, tralasciando un difficile e meraviglioso processo di coltivazione di frutta e verdura. Così ho deciso di investire sui bambini, diffondendo idee di sostenibilità, biodiversità, lavorando all’interno di uno spazio scolastico aperto, non stando per forza seduti su un banco. Bisogna investire tempo sulla terra. Le radici sono importanti. È fondamentale il luogo in cui viviamo. Questo i nuovi abitanti lo stanno capendo, sono menti più coscienti e più aperte. Sta tornando il valore della vita, del preservare, del mantenere, del coltivare».

(A)titolo link

© RIPRODUZIONE RISERVATA