Latte, a Lodi la rabbia degli allevatori

Latte, vertice dei 300 a Lodi contro il crollo del prezzo che strozza le stalle. Gli allevatori – riuniti presso la sala convegni dell’Una Hotel di San Grato – hanno discusso con Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti Lombardia e con Alessandro Ubiali, Presidente della Coldiretti di Milano Lodi e Monza Brianza le strategie da adottare per spezzare l’assedio delle industrie alle stalle da latte.

«Ogni mese – hanno detto in molti - sentiamo di qualcuno che chiuse e quando un’azienda zootecnica si ferma poi non riparte più, con questi prezzi ci stanno uccidendo. Ci sentiamo quasi come i pellerossa messi nelle riserve dopo essere stati decimati». Il prezzo è crollato dai 44,5 centesimi dell’anno scorso ai 36 che molti si sono visti imporre dall’industria di riferimento. In Lombardia, dove si munge il 40 per cento di tutto il latte italiano

Fra il 2003 e il 2013 - spiega un’analisi di Coldiretti Lombardia - il numero delle stalle lombarde è diminuito di oltre il 30 per cento, passando da 8.761 a 6.042. Se poi si considerano solo quelle che consegnano a industrie e caseifici e si escludono quelle che trasformano in proprio o fanno vendita diretta, si scende sotto la soglia psicologica di 5 mila allevamenti. In media – rileva la Coldiretti regionale – in Lombardia sono sparite oltre 270 realtà all’anno.

Fra Milano, Lodi e Monza Brianza fra il 2010 e il 2014 il calo degli allevamenti da latte è stato di circa il 10%, con una media di 5 chiusure ogni mese: a Lodi sono passati da 355 a 336 con un -5,4%, a Milano da 367 a 330 con meno 10,08% e in Brianza si è passati da 42 a 36 con un -14,3%.

«È una situazione grave e insostenibile - ha affermato Ubiali -. Le industrie vogliono pagare il latte delle nostre stalle e dei nostri territori come quello che arriva dall’estero, ma questo non è giusto. Il nostro prodotto è diverso e anche la nostra struttura produttiva è diversa, inoltre il nostro paese è deficitario di latte e quindi non è vero che produciamo troppo. C’è troppa importazione. Dobbiamo sparigliare le carte. Se l’Industria non ci sente, allora a questo punto apriamo il rapporto con quelle catene della grande distribuzione più vicine al Made in Italy e ai prodotti agroalimentari delle nostre aziende. Non ci faremo decimare».

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