I processi di riforma non comportino un’ulteriore stretta di credito alle imprese

Le recenti decisioni del Governo in tema di Banche Popolari hanno suscitato molte discussioni anche sul nostro giornale.

Credo sia utile un breve riepilogo dei fatti e una disamina, sotto diversi punti di osservazione, di quanto stabilito dal Governo.

Il giorno 20 gennaio il Consiglio dei Ministri ha varato un intervento di riforma che impone alle Banche Popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni. Si tratta di: Ubi, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare dell’Etruria e Popolare di Bari.

La finalità di tale intervento è esplicitamente quella di “garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti”.

Il relativo decreto legge n. 3 è stato pubblicato il 24 gennaio scorso con il titolo “Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti” ed elenca fra le premesse la necessità di promuovere una maggiore patrimonializzazione delle imprese italiane ed il concorso delle piccole e medie imprese nei processi di innovazione del sistema produttivo.

Le finalità esposte - garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese, favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti, promuovere le piccole e medie imprese - credo siano generalmente condivisibili da quasi tutti gli italiani e certamente lo sono dalla Camera di Commercio di Lodi.

Perché allora non tutti approvano la riforma proposta?

Prima di tutto, in qualità di Presidente della Camera di Commercio che - mi piace rammentarlo - è la casa delle imprese, vorrei esaminare la questione dal punto di vista dell’efficienza del sistema bancario e del credito concesso alle imprese, in particolare alle piccole e medie che costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto produttivo locale.

Sotto questo aspetto vedo due punti controversi:

1-Ritenere che la trasformazione delle grandi Banche Popolari in Spa favorisca il credito alle famiglie e alle imprese, con particolare riferimento alle PMI, presuppone che le Spa bancarie concedano crediti più abbondanti e stabili nel tempo. Tale affermazione non è del tutto confortata dai dati in quanto sono le Banche Popolari che hanno incrementato in modo significativo il sostegno alle imprese e alle famiglie negli ultimi 3 anni, contrariamente alle Spa Bancarie che hanno ridotto il loro intervento, come si evince dalla tabella.

2-Porre un tetto all’attivo delle Banche Popolari potrebbe avere l’effetto paradossale di frenare la crescita e le fusioni fra le Banche Popolari che si trovano al di sotto di tale soglia, replicando quell’effetto ben noto che consigliava a molte imprese di non crescere oltre i 14 dipendenti per non incappare in una normativa del lavoro più severa. Si tratterebbe perciò di un perfetto esempio di eterogenesi dei fini; infatti una norma dettata con lo scopo di favorire aggregazioni ed efficienza produrrebbe l’effetto opposto di ostacolare le fusioni e frenare lo sviluppo.

Ma la riforma in oggetto avrà effetti che andranno oltre il finanziamento del sistema produttivo, effetti che sono al contempo più specifici perché non riguardano tutta l’Italia, ma solo alcune province fra le quali la nostra, ma anche più generali perché impatteranno sulla vita di tutti i cittadini, non solo delle imprese. Mi riferisco ovviamente al ruolo svolto dalle Fondazioni delle banche popolari che sostengono progetti di welfare territoriale; nel nostro caso si tratta della Fondazione Banca Popolare di Lodi che utilizzando una quota degli utili generati dal Banco Popolare, oltre a sostenere interventi di tradizionale beneficenza, affianca gli enti territoriali in alcuni progetti la cui conclusione sarà fondamentale per il futuro del Lodigiano, ossia il Parco Tecnologico Padano e il completamento del Polo Universitario.

Proprio la specificità della Fondazione del Banco Popolare che, a differenza di altre fondazioni, non dispone di un patrimonio proprio ma fruisce di una distribuzione di risorse da parte del Banco Popolare, espone al rischio che un’assemblea di una Spa, fatalmente più attenta agli interessi degli azionisti che alle esigenze dei territori, possa modificare le norme statutarie e ridurre o forse azzerare tali risorse.

Dobbiamo perciò ritenere che il decreto sia un errore e che la situazione ideale sia il mantenimento dello status quo?

Nel metodo ritengo effettivamente un errore la scelta dello strumento del decreto legge, innanzitutto perché una riforma che prevede un periodo transitorio di 18 mesi potrebbe non avere il requisito di urgenza che la Costituzione impone; l’iter parlamentare avrebbe consentito inoltre di meglio esaminare i pro e i contro delle modifiche proposte.

Nel merito però riconosco che il principio della mutualità nelle grandi banche popolari sia ormai molto attenuato fino quasi a scomparire; infatti il nome originario di Banca Mutua Popolare Agricola di Lodi fu modificato perché non più coerente con la realtà.

Una riforma del sistema delle Banche Popolari è quindi necessaria, come d’altronde ritiene la stessa Associazione delle Banche Popolari che ha immediatamente incaricato una commissione tecnica costituita da esperti del calibro di Quadrio Curzio, Marchetti e Tantazzi di elaborare un progetto di autoriforma della categoria per aprire la governance delle grandi banche cooperative agli investitori istituzionali e al mercato.

Se la riforma debba mantenere il voto capitario, temperandolo magari con norme che evitino l’autoreferenzialità e quindi la sostanziale inamovibilità dei vertici delle banche, oppure eliminare il voto capitario ma porre qualche strumento - come un limite di possesso o di voto - a tutela del legame tra le banche e i territori di riferimento, mi pare argomento troppo tecnico per essere affrontato in questa sede.

Va ricordato infine che se in passato alcuni esempi di cattiva gestione sono venuti dalle Banche Popolari, nel periodo più recente i casi più clamorosi hanno riguardato banche Spa quali Carige e Monte dei Paschi.

In conclusione il problema da affrontare pragmaticamente non è quindi la forma societaria in sé, ma come evitare che processi di riforma, che per certi aspetti non sono più rinviabili, comportino detrimento per i territori e un ulteriore stretta al credito alle imprese in un momento in cui alcuni fattori, anche internazionali, lasciano intravedere l’avvio di una possibile faticosa ripresa.

Nel ricordare che la Banca Popolare di Lodi è stata la prima Banca Popolare in Italia, nata nel 1864, e che di conseguenza questa trasformazione avrà rilevanza di cambiamento storico per il nostro territorio, va considerato al contempo che sono in corso altri importanti cambiamenti istituzionali - nel Paese come nel Lodigiano - che andranno gestiti al meglio affinché non implichino un arretramento sostanziale. È certo che un intelligente percorso di confronto parlamentare da qui alla conversione in Legge del Decreto sarà indispensabile prova della maturità che ogni fase di cambiamento impone.

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