Per me è sempre di grande importanza poter incontrare i giovani. Sono loro, infatti, che hanno il compito di far fruttare la nostra vittoria di un tempo; sono loro che devono essere capaci di esaltare la grandezza di quella vittoria, di coglierne il significato, l’importanza e l’utilità per l’oggi.
Con le dovute proporzioni, i giovani del Duemila – non diversamente da quelli della mia generazione – si trovano di fronte a sfide immani, come immane era per noi quella di abbattere il comunismo.
Su che cosa edificare un’Europa solida e realmente unita? Come indirizzare la globalizzazione in modo tale che diventi la premessa di un’epoca di pace e prosperità a livello mondiale? Per quanto tempo sarà sostenibile un sistema economico per cui un gruppo di Paesi ricchi difende i propri privilegi a fronte della crescente pressione di masse enormi di diseredati?
Quando si affrontano sfide tanto difficili, impossibili sulla carta, un nemico temibile, il peggiore di tutti, è il venir meno della speranza. Oggi è come se non pochi giovani, guardandosi attorno, dicessero: “La battaglia per un mondo migliore, solidale, più giusto, la battaglia per la giustizia, per la verità e la libertà è troppo difficile, è una battaglia persa”.
A questi giovani, un rivoluzionario come me cosa può dire? Direi innanzitutto: “Non credete mai a chi vi dice che non è possibile cambiare il mondo! Non smettete mai di desiderarlo! Non abbiate paura di sognare.”
E poi voglio testimoniare che non è bello semplicemente esistere; più bello è vivere per ciò che veramente vale, lottare per il bene, donare se stessi agli altri, per una grande causa!
Infine, grazie all’esperienza, vorrei dire ai giovani: alla base delle grandi svolte storiche c’è sempre il fiorire di una nuova umanità, di una nuova solidarietà tra le persone.
Con la propria vita, ognuno di noi ha una missione importante da compiere, quale che sia il ruolo che ricopre. Ognuno di noi riceve un talento, in base ad esso ogni persona ha una sua battaglia da combattere, una missione specifica da portare a termine. Non ci sono compiti maggiori a fronte di missioni insignificanti. Ognuno di noi riceve il compito più importante che c’è, in accordo con le proprie possibilità. Ed è per questo che dico: non si tratta sempre di grandi compiti, ma nessuno di noi ha il diritto di tirarsi indietro.
Da questa consapevolezza nasce quella nuova umanità di cui parlo, che è alla base delle grandi imprese collettive.
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