Ecco il piano per uccidere Cavalli

«Rivelazioni che lasciano sbigottiti». Così si esprime Gian Antonio Girelli, consigliere Pd al Pirellone e presidente della commissione speciale antimafia del consiglio regionale, sul piano per organizzare l’omicidio dell’attore e scrittore lodigiano Giulio Cavalli svelato dal collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, che con le sue testimonianze ha portato all’arresto di oltre 130 membri della più importante cosca di Crotone. «La possibilità che Cavalli potesse essere infangato e ucciso per il suo impegno contro le organizzazioni mafiose deve far riflettere una volta di più sulla pericolosità di questi personaggi - ha aggiunto Girelli - : la società lombarda si è accorta troppo tardi delle profonde infiltrazioni di cui è vittima e, se lo ha fatto, è anche grazie all’opera di sensibilizzazione e di denuncia di persone come Cavalli. A cui, a nome dei colleghi della commissione, esprimo vicinanza e solidarietà». Dopo che lo stesso Cavalli ha diffuso tramite il suo blog la notizia di esser venuto a conoscenza dei dettagli del piano che la criminalità stava mettendo a punto per metterlo a tacere, sul web, tramite il sito Fanpage, ha parlato lo stesso collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, che ha svelato i macabri particolari del piano criminoso che avrebbe potuto costare la vita al direttore artistico del Nebiolo di Tavazzano (guarda il video). Particolari agghiaccianti, svelati da chi era stato contattato dalle cosche per essere parte operativa di un progetto semplice e letale. La ndrangheta, secondo Bonaventura, aveva intenzione di sfruttare una mancanza di comunicazione tra le Prefetture di Lodi e Roma, legata al trasferimento di domicilio, che avrebbe lasciato Cavalli senza scorta. A quel punto sarebbe stato messo in scena un finto incidente: un camion rubato avrebbe dovuto investire l’attore in una strada concordata e l’autista sarebbe dovuto scappare via, «così magari sarebbe passato come uno che ruba un camion, fa un incidente e scappa» ha raccontato il pentito, che ha anche specificato che Cavalli doveva morire perché «non si faceva i c...i suoi» e perché «andava ai processi». Essenziale era che Cavalli non morisse esplicitamente per mano dell’ndrangheta, «perché se ne sarebbe fatto un martire».

Da qui la necessità di delegittimarlo e lasciarlo così solo a combattere contro chi lo voleva morto. A Giulio Cavalli sono arrivate in queste ore parole di solidarietà anche da Sonia Alfano e Antonio Ingroia.

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