«Da 25 anni raccontiamo il Lodigiano»

Abbiamo

fatto

una cronaca

senza sconti

guardando

ai fatti

più che

ai colori

politici.

Le battaglie

le facciamo

sui valori:

il cardine

è il rispetto

per la vita

umana

Mauro Rancati, fino al 2007 caposervizio cronaca de il Cittadino,

è oggi apprezzato giornalista di Repubblica: a lui abbiamo

chiesto di intervistare il suo ex direttore. Senza peli sulla lingua

Direttore Ferruccio Pallavera, cosa si ricorda del 26 gennaio 1989, primo giorno di uscita de il Cittadino in versione quotidiano?

«Poco, il primo numero uscì un giovedì. Impegnato nella chiusura dell’ultimo numero del settimanale, non ne seguii la costruzione. Lo sforzo cadde tutto su quei ragazzi quasi con i pantaloni corti e ora giornalisti fatti e finiti. Lo stesso dicasi per le ragazze del settore grafico, appena uscite dalla scuola delle Canossiane, alcune non erano neanche maggiorenni. Il Cittadino quotidiano è partito così».

Adesso è cambiato tutto, al punto che in molti dicono che Internet, telefonini e la crisi faranno sparire i giornali di carta. Tutto lo sforzo per affermarsi in questi 25 anni è stato inutile?

«Non credo alla sparizione dei giornali cartacei. Soprattutto di quelli come il nostro, di provincia, radicati nel territorio. Sono forti, noi stiamo crescendo nelle vendite in edicola nel Sudmilano».

Siete in controtendenza, dal 2008 Repubblica e il Corriere hanno perso 300mila copie a testa...

«Non so che farci, il fatto è che in tantissimi vogliono ancora avere in mano il giornale da sfogliare. E lo vogliono soprattutto gli inserzionisti della pubblicità, cioè gli imprenditori, gli attori dell’economia».

Arretratezza?

«Faticano ad andare solo sul web, anche se noi ormai come azienda editoriale lo facciamo bene. È un dato di fatto».

Il Cittadino ha un sito, è leggibile su pc, tablet e telefonino, ha un’app per tablet. Siete nel flusso web, avete creato un sistema informativo a strati: è questo il futuro?

«È tutto merito dei giornalisti che hanno avuto la capacità di guardare lontano».

Il suo predecessore, don Mario Ferrari, raccontava a tutti queste certezze: la radio dà la notizia, la tv la fa vedere, il giornale la spiega. Adesso con pc, smartphone e tutto il resto come funziona il sistema?

«Le notizie flash vanno sul sito sette giorni su sette, aggiornate spesso fino a notte fonda. I lettori le commentano subito. Il giornale le approfondisce ma deve tenere in gran conto che la notizia è già stata letta. Sono rimasto scioccato dal fatto che in due anni gli utenti unici del sito sono passati da 8mila a 19mila al giorno, i “Mi piace” su Facebook sono circa 16mila».

La tecnologia vi costringe a modificare solo il modo di informare o anche i contenuti?

«Recentemente abbiamo iniziato a battere anche la strada di Twitter. E grazie a un nostro consulente, che ha inventato l’applicazione per i tablet, si sono aperte nuove prospettive, informative e pubblicitarie».

Cioè?

«Un esempio banale: le pubblicità dei cenoni di Natale e Capodanno sono sparite. Allora abbiamo provato a mettere on line i cuochi dei ristoranti locali che fanno vedere come preparano le loro specialità, spiegando la ricetta, mettendo la loro mail in modo che li si possa contattare e chiedere chiarimenti. Un successo. E una cosa inimmaginabile fino a un anno fa senza la app. Certo, l’informazione è un’altra cosa, ma la tecnologia, che sta cambiando il mondo, sta cambiando anche l’informazione».

Se tutto è già letto on line perché rileggerlo sulla carta?

«I commenti delle grandi firme, gli approfondimenti, le esclusive, restano sul giornale di carta».

Siamo nel villaggio globale, da qualunque paesino del Lodigiano si naviga in tutto il mondo: un quotidiano locale non è una cosa un po’ anacronistica, provinciale, superata?

«Le racconto una storia: una mia amica di Codogno che non ne poteva più di nebbia, ristrettezze mentali e orizzonte che si fermava alla siepe dell’orto, è scappata a vivere a New York. Tornava due volte l’anno a trovare i genitori ma ogni volta non vedeva l’ora di riprendere l’aereo a Malpensa per riscappare. Fino all’attentato delle Torri Gemelle, nel 2001: lo sgomento l’ha portata a cercare qualcosa cui aggrapparsi. Ha preso il solito aereo ed è tornata a Codogno. E si è fermata qui. Ha capito che cos’erano le sue radici, quella cosa che è dentro ognuno di noi. Noi raccontiamo queste radici».

Passiamo ad altro, la politica: i cattolici si sono dispersi in mille rivoli. Come stabilite la linea?

«Adesso è tutto più facile. Il Cittadino prima della prima guerra mondiale stava con il Partito popolare, dopo la seconda ha passato il tempo a dire di votare Dc perché c’era da fare diga contro i comunisti. Ora queste battaglie non si fanno più, non indichiamo più per chi votare, facciamo battaglie sui valori. Il cardine è il rispetto totale della vita umana, senza entrare troppo nei particolari. Certo, siamo contro aborto e eutanasia, ma c’è rispetto per tutti, per la donna che abortisce e per la persona che soffre e chiede un’iniezione in vena».

La politica locale è sempre stata il sangue del giornale: è ancora cosi?

«Quando siamo partiti come quotidiano è stato difficile far capire che non avremmo più appoggiato nessuno senza condizioni. Abbiamo fatto una cronaca senza sconti, guardavamo ai fatti più che ai colori. Abbiamo fatto la storia».

Era meglio prima?

«Non c’è un meglio o un peggio. Diciamo che quando il giornale si è scrollato di dosso i suoi orpelli ideologici è diventato molto più libero».

Tranne che nel rapporto col padrone, cioè il vescovo, che la richiamerà all’ordine: è così?

«Quando lo dico la gente non mi crede, ma io non ho mai ricevuto dai miei vescovi l’ordine di pubblicare qualcosa. Talvolta mi hanno dato delle idee da sviluppare sul giornale, ma su argomenti fuori dalla vita della Chiesa».

Tutti di larghe vedute…

«C’è questo fatto: il nostro è un editore puro, non ha interessi economici, e il Cittadino è uno dei pochi giornali in cui non c’è un proprietario che lo passerà al figlio, come gli Agnelli, i De Benedetti, i Caltagirone. Dopo un vescovo ne arriverà un altro che passerà la mano a un altro ancora».

La proprietà sta nella gente del Lodigiano, dunque. E allora: in passato il giornale ha fatto delle battaglie anche veementi, per l’istituzione della provincia di Lodi o la nascita del Parco Adda, per la lotta alla corruzione. Oggi per cosa si batte il Cittadino?

«Questo è un territorio diverso da tanti altri, c’è stata una crescita che tante realtà non hanno avuto, in un attimo Lodigiano e Sudmilano sono passati da 500mila a 700mila abitanti. Questi territori hanno una identità unica, che va difesa, ricordata, raccontata».

Non le piacciono gli immigrati?

«Vanno accolti e aiutati, i cattolici sono in prima fila, anche nello spiegare loro in che territorio sono finiti».

All’uscita del primo numero del quotidiano quanti erano i giornalisti professionisti?

«Zero».

Oggi?

«Sono 21, più 5 articoli 12 (persone assunte come corrispondenti dalle varie zone, ndr). Vengono da tutto il Lodigiano, non abbiamo mai preso nessuno da fuori, tutti hanno fatto la loro gavetta iniziando come corrispondenti dal loro paesino o città. Sono orgoglioso della redazione, se dovessi fare una classifica per bravura e intelligenza io mi metterei intorno al ventesimo posto».

Mi sembra un eccesso di understatement e anche una piaggeria verso i suoi sottoposti: li teme?

«Tutti i giorni alla riunione di redazione arrivo con la mia idea di giornale da fare: al 50 per cento è distrutta dalla classifica delle storie più lette sul sito Internet fino a quell’ora, utile perché ci fa capire quali sono le cose da approfondire e quelle da abbandonare. L’altro 50 per cento da idee e proposte dei giornalisti. Un uomo solo al comando non combina nulla».

E lei che fa allora?

«Mi ritaglio il tempo per andare in giro a promuovere il giornale: incontri, dibattiti, iniziative di piazza con i cittadini. Grazie anche alla collaborazione del mio vice Aldo Papagni».

Ci sarà una cosa che non va, un obiettivo non raggiunto, un rammarico: cosa non è riuscito a fare?

«Viviamo ancora oggi in parte grazie al contributo della legge sull’editoria. È stato dimezzato, ma continua a darci linfa vitale. Ero certo anni fa che in poco tempo ne avremmo potuto fare a meno, non è stato così, la crisi ci ha impedito di diventare del tutto indipendenti. Il rammarico è questo. Ma, sì, è anche un obiettivo del futuro».

Mauro Rancati, fino al 2007 caposervizio cronaca del «Cittadino» , è oggi apprezzato giornalista di «Repubblica»: a lui abbiamo chiesto di intervistare il suo ex direttore. Senza peli sulla lingua

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