Curioni, la famiglia di falegnami che unisce design e saperi antichi

«Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro» cantava Pierangelo Bertoli nella sua canzone manifesto “A muso duro”. I Curioni, famiglia (barasina doc) di falegnami, questa filosofia di vita l’hanno fatta diventare un benefico stimolo per allargare i propri orizzonti professionali e personali.

Questa storia inizia con il capofamiglia Giampiero, cinquant’anni di lavoro sulle spalle, uno che da bambino passa le giornate nella segheria del nonno Pietro. In seguito, più grandicello, le trascorre nella falegnameria del signor Carlo Capra, altro storico artigiano di Sant’Angelo. Qui impara il mestiere e, soprattutto, conosce Elisabetta, figlia del signor Carlo e sua futura moglie. Dal matrimonio nascono tre figli: Claudio (28 anni, oggi al fianco dei genitori in bottega), Fabrizio (22 anni, studente di Economia) e Dario (17 anni, studente al Bassi).

Una classica e solida famiglia di artigiani: gente concreta, cucine e mobili di arredo, casa, lavoro, impegno in parrocchia e nella vita sociale di Sant’Angelo. Poi qualche anno fa arriva la decisione di aderire a un bando promosso dalla Regione Lombardia. È il 2009 e i Curioni ricevono il premio “Eccellenza artigiana” della Regione Lombardia. In quell’occasione vengono a conoscenza del fatto che il Pirellone cerca quaranta artigiani da abbinare ad altrettanti giovani designer per lavorare insieme su vari progetti.: il giovane designer ci mette fantasia ed entusiasmo, l’artigiano la conoscenza del lavoro e dei materiali, la Regione rimborsa i materiali.

Si parte: tavoli che cambiano colore, portabiciclette da camera (vedasi box a lato, nda), arredamenti modulari, mostre al Fuorisalone e al Salone del mobile di Milano, presentazione dei prototipi nelle aule della Statale. L’ultimo nato è “Animaze”, un sistema modulare di sagome di legno (che nelle settimane scorse è valso il premio regionale “Young & Design” ai Curioni) che contengono al loro interno cuscini a forma di animale: gatto, cavallo, polipo... Il sistema è rivolto ad asili nido e strutture che ospitano bambini: le sagome, una volta tolti i cuscini, diventano tavolini, sedie, dondoli e quant’altro permetta la fantasia (notoriamente sconfinata) dei piccoli. Il disegno è della giovane designer russa Ekaterina Shchetina mentre direttrice artistica del progetto è Antonella Andriani. I Curioni ci hanno messo l’esperienza e l’italico genio. Scartati vari tipi di legno, si sono rivolti a una ditta di Bressanone ha che brevettato i fogli di faggio “piegabili” a mano. Per assemblarli hanno dovuto usare una colla speciale che asciuga in 45 minuti a fronte dei 5 tradizionali in presenza di una determinata temperatura, non eccessivamente secca: quella del mattino presto o della sera, fasce orarie che venivano così dedicate a questo lavoro. Perfino per i cuscini è stato necessario cercare un artigiano che li rivestisse e li cucisse mentre è stata la stessa signora Elisabetta a mettersi all’opera per fare gli occhi degli animali: «Un semplice punto croce - racconta- però sembra che non lo sappia fare più nessuno». Ago, filo e Skype, quest’ultimo usato per aggiornarsi con la designer russa che nel frattempo girava il mondo. A breve il globo lo gireranno anche i primi esemplari di “Animaze”: da Canada e Australia sono arrivate le prime richieste. «Ci si è aperto un mondo - raccontano Giampiero ed Elisabetta Curioni -. Un mondo che non conoscevamo e che ci sta permettendo di imparare nuove tecniche, nuovi materiali e un nuovo modo di pensare al nostro lavoro. Un approccio da “Slow food”, con tempi più dilatati, più lenti, più rispettosi delle esigenze e delle caratteristiche di un materiale vivo come il legno». Soprattutto si apre un mondo giovane, fatto di studenti e ragazzi motivati e curiosi. «Per noi lavorare con questi giovani è una boccata d’ossigeno - spiega la signora Elisabetta, che in falegnameria si occupa di carte varie e contabilità -. Abbiamo sempre creduto nel loro coinvolgimento nel settore dell’artigianato con progetti di orientamento, di affiancamento, di alternanza scuola-lavoro». Un rapporto venuto a mancare, nelle ultime generazioni, quando botteghe e officine hanno cominciato a traslocare nelle zone artigianali fuori dal paese. «Una volta i ragazzi sognavano di diventare meccanici o falegnami o vetrai perchè queste figure con le loro officine facevano parte del tessuto sociale del paese. Ce n’erano in ogni strada - racconta la signora Elisabetta -. Ricordo bambini capaci di stare per ore a osservare il lavoro degli artigiani. Poi una volta grandi era normale “andare a bottega” in questi posti come garzoni». Si imparava il mestiere e dopo qualche anno si apriva la propria bottega. Oppure si rilevava quella dell’artigiano quando questi si ritirava. Nella bottega dei Curioni l’unico giovane, uno studente universitario, che si è presentato spontaneamente con la richiesta di imparare i rudimenti del lavoro è stato accolto a braccia aperte. Però per tenerlo tre mesi papà Giampiero (cinque decadi di bottega, ricordiamolo, l’ultimo infortunio quando aveva 16 anni) si è dovuto fare 48 ore obbligatorie di corso sulla sicurezza oltre alla solita montagna di carte e domande bollate. La burocrazia, grazie al cielo, non ha spento l’entusiasmo della famiglia: «I ragazzi, se stimolati e guidati, sono ancora capaci di mostrare doti inaspettate di manualità e di curiosità. Noi ci crediamo ancora».

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