A spasso fra musica e onde cosmiche in riva al Po

Il Museo della musica e dello strumento musicale dell’Accademia Gerundia via Besana a Lodi è composto da cinque sale in cui gli strumenti musicali sono suddivisi ed esposti in base alla moderna catalogazione: cordifoni, aerofoni, idiofoni, membranofoni, meccanico/elettrici e apparecchi per la riproduzione del suono. Messa così, uno legge e pensa «Che barba, che noia». Invece una volta entrato non ne usciresti più specialmente se Pietro Farina, direttore dell’Accademia e fondatore del museo,ha tempo da dedicare - fra un impegno all’altro - al cronista e ti suona davanti agli occhi uno strumento dopo l’altro, passando da un Moog, versione moderna di quello che usavano le band di rock progressivo («Con uno di questi ci hanno fatto la sigla di “Star Trek”») a una campana tibetana con i suoi suoni ancestrali(«Onde cosmiche che si dipanano, ascolti con attenzione») a una conchiglia («Forse il primo strumento raccolto su una spiaggia in cui un essere umano ha soffiato per comunicare a distanza con i propri simili») all’autopiano Spencer, sorta di pianoforte che funzionava a rulli e di fatto faceva tutto lui. Lo si usava nei cinema, quando sullo schermo passavano solo film muti e l’accompagnamento veniva fatto dal vivo. Poi arrivò il cinema sonoro così Stanlio, Olio e i pionieri di quell’epoca furono messi nel dimenticatoio mentre gli autopiano (non tutti ma molti) furono rimandati in fabbrica per metterci dentro anche l’anima del pianoforte: corde, martelletti e tutto il resto. Provate voi a smuoverlo, il buon Farina, da tutti questi racconti, da questi aneddoti, questi accordi accennati(suona tutto, ma come fa?) per spiegare un meccanismo interno, una certa vibrazione, una variazione di nota. Chi scrive risponde annuendo con la testa ma (al netto di tecnicismi non sempre comprensibili per chi è a digiuno di pentagramma) il tutto affascina e stupisce. Proprio vero: di fronte alla musica si è tutti bambini perché la musica - che la si suoni con un liuto marocchino ricavato dal carapace di una tartaruga o con un organo a baule “Tamburini” del 1970 in legno d’abete rosso e di ebano (non c’è una vite, tutto a incastro) - resta quel fenomeno primordiale che coinvolge testa, diaframma, udito e sensazioni. Per questo i bambini impazziscono qui. Fanno la fila per provare il “modular moog”, sorta di sintetizzatore a 12 oscillatori che risuona in base ai movimenti delle mani che lo sfiorano appena. Una faccenda complessa da spiegare. Immaginate una scatola di metallo con antenne e led. Immaginate di farci oscillare le dita attorno, tirandone fuori musica ed effetti sonori. È così che funziona. Tecnologia moderna che convive con materiali e strumenti arcaici, poche bacheche più in là. Flauti in bambù, mandole, mandolini, un clarinetto “Pietro Piana” del 1820, un rarissimo flauto globulare proveniente dal Sudamerica, dell’età precolombiana. Poi flauti, ottavini, una launeddas sarda (si suona con la tecnica della “insufflazione continua”: ci vogliono polmoni buoni), una cornamusa turca interamente fatta con la pelle di un maialino, bastoni della pioggia, una lira somala ricavata dalla pelle di un serpente… Sono centinaia. Centinaia di strumenti (senza contare grammofoni, radio, spartiti, dischi e juke-box) raccolti da Farina, spediti, fatti arrivare, donati da amici e parenti. Una collezione che ha compiuto 40 anni da poco. Un bel compleanno per la Gerundia, accademia musicale oggi accademia artistica a tutto tondo dove passi dall’aula di danza a quella dove un ragazzo ripassa un potente assolo di batteria con il maestro. Il futuro della scuola sta in Francesca, figlia di Pietro e curatrice del museo, nei bravi collaboratori e - come spesso accade per i migliori progetti - nel suo stesso passato: «Ora che ci siamo sistemati in questa nuova sede e abbiamo ingranato vorrei riprendere in mano il discorso della musicoterapia - spiega Farina -. In passato abbiamo organizzato e ospitato corsi e incontri, penso sia giunto il momento di riaprire questo filone». A dimostrazione che la musica non è solo un assolo di batteria. È qualcosa di più profondo, qualcosa che si infila tra barriere fisiche e psichiche, lingue e culture diverse, sensibilità differenti. Detto questo, per carità, vuoi mettere la carica che ti pompa dentro un assolo di batteria?

(A)titolo link

© RIPRODUZIONE RISERVATA