Una vacanza da ricordare, una decina giorni nella natura norvegese e tra i suoi fiordi e poi gli ultimi tre a Oslo, la capitale, dove il viaggio si sarebbe trasformato in dramma, con l’attentato che ha gettato nel lutto il popolo scandinavo. Due lodigiani erano là, quando è scoppiata l’autobomba preparata dal terrorista di destra Anders Behering Breivik, si trovavano a due isolati dai palazzi del governo, dove la deflagrazione ha stroncato sette vite umane e solo per un caso fortuito non sono stati coinvolti direttamente.
Vittorio Riccaboni, 53 anni, si trovava in Norvegia con la moglie Maria Rosa, una vacanza iniziata il 10 luglio e che si sarebbe conclusa sabato 23. Ma quel maledetto venerdì 22 resterà per sempre nella loro memoria. «Stavamo trascorrendo a Oslo gli ultimi tre giorni del viaggio - dice Riccaboni, ex sindaco di Pieve Fissiraga e funzionario di Sal, Società acqua lodigiana -. Il venerdì avevamo fissato per le 16 una visita a palazzo Reale e mezz’ora prima ci trovavamo proprio nella piazza antistante il quartiere governativo e il palazzo del ministero dell’energia e del petrolio. Stavamo cercando un ristorante che pensavamo di prenotare e a un certo punto siamo stati in dubbio: visto che avevamo ancora un po’ di tempo libero, era più conveniente spostarsi vero palazzo Reale o approfittare per visitare l’edificio del governo? Per fortuna mia moglie mi ha convinto a scegliere la prima opportunità».
E così, poco prima delle 15.30, Vittorio e Maria Rosa Riccaboni si allontanano dalla piazza dirigendosi verso la zona pedonale. «Abbiamo attraversato due strade e all’improvviso ho sentito un boato terrificante - ricorda Riccaboni -. Mi sono voltato e in quel momento, a dieci metri da noi, da un palazzo squarciato stavano precipitando sull’asfalto vetri e detriti. Per pochissimo non ci siamo trovati sotto a quell’inferno. Subito ho pensato a una fuga di gas, poi mi hanno detto che quell’edificio è stato gravemente danneggiato dall’onda d’urto dell’esplosione che si è scatenata ben due isolati più lontani».
Subito dopo scoppia il caos, in mezzo alla gente che fugge i due coniugi lodigiani raggiungono palazzo Reale: «Ci hanno detto che avrebbero chiuso perché c’era stato un attentato terroristico e siamo stati invitati a rientrare in albergo - aggiunge Vittorio Riccaboni -. La città era presidiata, si sospettava un’azione islamica, che potessero esplodere altre autobombe: “Non muovetevi dalla vostra stanza, non è il momento di stare per strada, il peggio deve ancora arrivare” ci ha detto un agente di polizia».
Solo tre quarti d’ora dopo, in albergo, i lodigiani vengono a sapere della strage che è continuata all’isola di Utoya e dell’ipotesi islamica che veniva accantonata.
«La città era presidiata - continua Riccaboni -, la stazione era bloccata e noi temevamo che venisse interdetto anche lo spazio aereo, visto che saremmo dovuti partire la mattina dopo. Intanto nella notte si è chiarito il mistero della matrice degli attentati e si è conosciuto il nome del presunto autore». La mattina dopo, alle 7.10, il trasferimento all’aeroporto di Torp, a 100 chilometri dalla capitale e il ritorno a Lodi. «È stata un’esperienza terribile e dolorosa, un’azione che è costata tanti morti - conclude Riccaboni -. E pensare che poche ore prima dell’esplosione eravamo all’interno del museo del premio Nobel per la pace, dove tutti possono lasciare un biglietto con un messaggio di pace nel mondo e concordia. Mia moglie ne ha affisso uno, non potevamo certo immaginare cosa sarebbe successo poche ore dopo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA