35 anni al volante scarrozzando i lodigiani

Voleva fare il contadino, Luciano Scrigna, ma nel destino aveva il volante della macchina, non quello del trattore. Oggi, appena prima di compiere settant’anni, racconta la sua vita a bordo del taxi, a Lodi dagli anni di piombo ai fasti della Popolare. È andato in pensione nel 2005, anno difficilissimo per la città e non solo, all’alba della crisi e con il crac del sistema Fiorani.

Partiamo dall’inizio, con la Seconda Guerra Mondiale appena finita. Luciano nasce in aperta campagna, a Terranova dei Passerini, ha un fratello, Pino; il papà, metalmeccanico, era sindaco del paese; la mamma, Teresa, casalinga. «A quattordici anni sono andato a lavorare a Milano. Stavo per frequentare la scuola di avviamento. Il papà mi disse: «C’è un posto di lavoro a Milano». Porca miseria, bene! Non ci ho pensato un attimo a mollare la scuola. Almeno mi trovo un qualche cento lire in tasca». Insiste: «Il mio ideale era fare il contadino. In mezzo mucche, maiali e trattori ero l’uomo più felice del mondo. Precisò: «C’è un posto da litografo». Pensavo fosse una parolaccia. Sono andato a guardarla sul dizionario». Si ritrova, dal paesello disperso nei campi, nella grande metropoli. «Eravamo in trecentosessanta. Ero addetto con altri ragazzi alla calcografia di carte e valori; facevamo servizi per le banche, usando la macchina offset».

Sono i primi anni Sessanta. Un cambiamento totale nella vita di questo ragazzo, ma anche del paese Italia. «Sono stato fortunato. Le prime bistecche rosse le ho mangiate lì. Da noi c’era un toc de less la domenica e basta. Facevo avanti e indietro, da Casale a Milano, partivo alle cinque e mezza la mattina, tornavo alle nove di sera. Non mi sentivo sfruttato. Ero un ragazzo normale di quattordici anni con qualche cento lire in sacoccia. Ci siamo comprati pantaloni e soprabiti pagando a rate. L’azienda ci finanziava le vacanze al mare, trattenendo dalle successive paghe. Il mattino si preparavano le risme, sul presto, e poi fino a sera si stampava, finendo per pulire e lavare le macchine. Era bellissimo, mi piaceva, eravamo tanti ragazzi giovani. Ci chiamavano i falchett».

Nel 1970, la prima svolta.«È venuta libera una licenza da taxi. Già faceva il tassista mio suocero Carlo. Il problema erano i soldi. Mi ero appena sposato, non ce n’erano proprio. Me li diede il Credito Lodigiano. In garanzia?, s’informarono. Ho firmato un pacco così di cambiali, mi hanno erogato tutto in fiducia e ho preso il primo taxi. Era una 124 Special, nera, targata MI.G82018. Me la ricorderò sempre. Quando si rompeva qualcosa, spesso lo sistemavo a casa. Avevo le cambiali da pagare. Il meccanico Angelo Galluccio ci assisteva in tutte le maniere. «Se non hai i soldi pagherai», mi ha spesso ripetuto. Un uomo eccezionale. Una volta è venuto alle cinque del mattino ad aggiustarmi la frizione rotta.

Nel 1973, l’austerity. Le macchine non potevano circolare per il blocco legato alla crisi petrolifera. «Per noi la domenica era un incasso mensile. Si lavorava dalle quattro del mattino fino a mezzanotte. Una cosa bellissima. C’era la fila di gente anche qui a Lodi. Gente che doveva andare a Milano e Treviglio con urgenza, non potendo usare la propria macchina. Ci siamo tirati su ben bene». Negli anni Settanta c’erano le Brigate Rosse. A Milano si rischiava di esser coinvolti in brutti momenti. Una mattina a Mediglia, dove avevano ammazzato il maresciallo Felice Maritano, avevo in macchina un ingegnere dell’Agip: ci hanno bloccato per mezzora. Lui protestava, non volendo perdere l’aereo. Gli anni di piombo furono terribili: una volta mi sono trovato bloccato in stazione Centrale, per via di un’esplosione. Fermavano i treni, dicendo ci fossero su le bombe. Non sapevi mai chi portavi. Quando fermava la Polizia, non si poteva immaginare la reazione di chi si aveva in macchina».

Le storie private si legano sempre alla grande storia, con fili invisibili. «Nel 1976 ho preso la 132 col Gpl, i carburanti erano alle stelle. Si lavorava con gli addetti nelle ditte lodigiane che arrivavano in treno. A Caviaga c’era la scuola Saipem per saldatori. Si facevano diverse corse. D’inverno il problema era la nebbia, fortissima, la strada era ancora quella vecchia, tutta curve. La macchina si scaldava come voleva lei». Scrigna tiene a sottolineare il suo debito professionale verso la ditta Viscolube: «Mi hanno sempre dato una grossa mano con il lavoro. Gli amministratori e i dirigenti mi volevano un bene dell’anima. È stata l’azienda con cui ho lavorato finché sono andato in pensione, nel dicembre 2005».

E adesso? «Non voglio più vedere la macchina. Vado due mesi a Ferriere, sulle montagne piacentine, mi faccio 450 chilometri a piedi per funghi ogni estate. Lassù ho trovato un ambiente accogliente».

Il momento più buio della lunga esperienza lavorativa venne nel 2001, con il disastro aereo di Linate. «Mi viene ancora la pelle d’oca. Alle sei del mattino ho preso un cliente di Lodi che doveva andare a Goteborg. Era un medico, in giro per aziende farmaceutiche. Alle otto dovevo portarne indietro un altro. A Linate trovai tutto chiuso. C’era un motore dell’aereo, con scritto Sas, nel parcheggio. Sono stato male. Capii che a bordo c’era la persona che ho portato io. Difatti era così». Tutt’oggi si addolora. «Quando c’è stato il funerale, non ho avuto il coraggio di andare a salutare la moglie. Ero distrutto. Mi sentivo in colpa di averlo portato, anche se la cosa non ha senso».

Negli anni Novanta cominciò l’immigrazione dall’Albania. In mezzo ai tanti perbene, anche gente non proprio come si deve. «A uno dissi che per andare a Sant’Angelo ci volevano 13mila lire. Lui ha tirato fuori da tasca un pacco così di 50 e 100mila lire, ha fatto una rosa sul sedile. «Prenda quello che vuole». Mi sono sentito braccato. Qui non finisce bene, mi dissi. Non ha mai parlato. Quand’è sceso mi ha lasciato 50 mila lire». Aggiunge: «Gli anni Novanta furono, in generale, molto belli. Ci chiamava RTL da Milano, per le info sulla viabilità in diretta. Ogni ora alle meno dieci, dalle sette del mattino fino a sera tardi. Quando chiamavano me, oltre alla viabilità, ne raccontavo mille. Mi volevano bene».

Ne racconta di cotte e di crude, molte delle quali piacevolmente da non ripetere. Dopo la 124, ebbe la 132, poi una serie di Opel, dalla Record col cambio al volante, alla Kadett e Vectra, infine di nuovo Fiat con la Marea per chiudere la carriera in Stilo. «Ci volevano macchine con baule grosso. Tanta gente chiedeva un passaggio per il mare o la montagna». Chilometraggi? «Sui 50mila l’anno. Il picco più forte di lavoro ci fu con il boom della Banca Popolare, soprattutto nel 2002, con il festone in piazza (il Forex con Antonio Fazio, ndr)».

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