25 Aprile - Uomini e donne riabilitarono l’Italia agli occhi del mondo

1945/2025 La lotta di Liberazione è patrimonio comune, che va oltre gli steccati politici e ideologici, perché alla Liberazione parteciparono in tanti, comunisti, socialisti, liberali, cattolici, sacerdoti, donne e uomini della società civile, militari. Ecco perché chi oggi non si rivede in questa esperienza rischia di apparire fuori dalla storia

Lodi

Chissà quali sentimenti deve aver smosso nell’animo degli italiani l’annuncio radio dell’8 settembre 1943 che informava dell’armistizio.

Speranza sicuramente, dopo mesi di guerra fallimentare su tutti i fronti e due decenni di dittatura che aveva ridotto il Paese a una tragica macchietta di sé stesso. Entusiasmo, probabilmente, perché si confidava nella cessazione delle ostilità nei mesi a venire. Smarrimento, in quanti si aspettavano che lo Stato, dopo il Gran consiglio del fascismo che esautorava Mussolini e la decisione del re che lo poneva in arresto, potesse riaffermarsi in maniera decisa e invece dovettero assistere alla precipitosa fuga della corte e del governo a Brindisi e allo smantellamento dell’esercito, con i soldati lasciati in balìa del proprio destino e delle ritorsioni naziste. Timore, rabbia e voglia di vendetta infine in quanti erano rimasti fedeli al Duce e avrebbero dato vita alla Repubblica di Salò, ultimo atto di una feroce dittatura iniziata nel 1922 con la marcia su Roma. Una sceneggiata, alla quale Mussolini non partecipò, e che sarebbe potuta essere interrotta semplicemente con la dichiarazione dello stato d’assedio.

Le speranze e i sogni di pace del 1943 si spensero però ben presto, sopite da due anni di guerra civile, con mezza Italia occupata dai nazifascisti e la risalita delle forze di liberazione alleate che fu lenta, faticosa, dolorosa, sia per le vittime militari e civili, sia per i bombardamenti che devastarono le città, sia per episodi brutali, come quelli che passeranno sotto il nome di “marocchinate”, di cui gli stessi Alleati si macchiarono indelebilmente.

Chi si aspettava che l’armistizio rappresentasse la fine del fascismo e profumasse di libertà si sbagliava. L’Italia e gli italiani avrebbero dovuto superare ancora due inverni di sangue per affrancarsi agli occhi del mondo. La libertà, quella di cui quest’anno celebriamo gli ottant’anni, fu conquistata il 25 aprile 1945 ma prese forma molto prima, in tanti piccoli gesti, in tante piccole azioni, dagli scioperi delle donne nelle fabbriche ai sabotaggi nei confronti degli occupanti. La Liberazione fu un evento di popolo, perché quanti intrapresero il percorso della Resistenza - armata o pacifica - provenivano in numero consistente dalla classe lavoratrice. Molti erano giovani. In questo senso possiamo dire che la Resistenza fu un fenomeno popolare, perché fu soprattutto il popolo a riabilitare l’Italia e gli italiani agli occhi del mondo.

Così come erano soprattutto giovani i militari che dopo l’8 settembre “hanno detto no”, rifiutandosi di aderire alla Repubblica di Salò e di mettersi sotto il comando dei nazisti: quelli che non si dettero alla macchia per unirsi ai partigiani finirono nei campi di concentramento voluti da Hitler, senza nemmeno lo status di prigionieri di guerra e dunque le tutele della Convenzione di Ginevra

Celebrare oggi gli ottant’anni della Liberazione significa non dimenticare quanti ci hanno garantito la libertà. C’è chi lo ha fatto praticamente nell’anonimato, perché dopo il 1945, nel pieno della ricostruzione, l’Italia in parte preferì guardare frettolosamente avanti o si dimenticò colpevolmente di volgere lo sguardo a quanto era accaduto, anche per equilibri politici, penso al caso gli internati militari.

Di tanti, però, conosciamo i nomi e le storie. E nell’atto di ricordarli, oggi, vogliamo ricordare tutti. Penso ad Ettore Archinti, Giuseppe Arcaini ed Edgardo Alboni, di Lodi, che da posizioni differenti e con esperienze personali altrettanto diverse hanno offerto un contributo e un esempio, pure essi differenti, fondamentale per la futura Italia libera

Penso alle figure di Franco Lombardi e Osvaldo Grecchi, santangiolini, protagonisti della Resistenza, il primo nell’Oltrepò Pavese con i partigiani cattolici, il secondo che passò dalle fabbriche alla lotta armata in Val d’Ossola nella Brigata Garibaldi.

La Resistenza fu, certamente, cruenta. Ma anche tra quanti non imbracciarono le armi troviamo esempi fulgidi. Don Giovanni Quaini, antifascista convinto, fu il primo a Spino d’Adda a organizzare la resistenza partigiana. Don Nicola De Martino operò a lungo per agevolare a Sant’Angelo le formazioni partigiane e mise a rischio la sua vita per evitare che il passaggio di una colonna armata tedesca in Sant’Angelo non si trasformasse in una carneficina. La famiglia di Maria e Rachele Brunetti, dimostrando coraggio e grande umanità, nascose nella propria abitazione, nel quartiere San Rocco a Sant’Angelo, prigionieri inglesi, salvandoli dai rastrellamenti dei nazifascisti. Così fecero le sorelle Nina e Dovera a Cornegliano Laudense. Maria Grossi di Cavenago d’Adda sperimentò il carcere e fu ufficiale di collegamento fra Tavazzano e Milano.

Gesti eroici che ci portano a dire che furono gli italiani, nella quotidianità, a riscattarsi dall’onta del fascismo. Il nostro giovane paese, nato con il Risorgimento, è rinato con la Resistenza. Ed è stato quest’ultimo faticoso e doloroso percorso a forgiare l’Italia di oggi. La lotta di Liberazione è patrimonio comune, che va oltre gli steccati politici e ideologici, perché alla Liberazione parteciparono in tanti, comunisti, socialisti, liberali, cattolici, sacerdoti, donne e uomini della società civile, militari. Ecco perché chi oggi non si rivede in questa esperienza rischia di apparire fuori dalla storia.

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