
Telekommando
Da qualche, anzi da molti episodi di questa rubrica, poco si parla di sport. Eppure, per antonomasia, l’estate è da sempre ad appannaggio delle grandi manifestazioni sportive: Olimpiadi, Europei o mondiali di calcio, Tour de France (che parte proprio da oggi con il nuovo “cannibale” Pogacar, Vingegaard, il suo antagonista e preferito dal vostro, e solo sei o sette italiani a dimostrazione del buco nero in cui è precipitato il ciclismo nazionale), Wimbledon (ah se non ci fossero Sinner e Paolini). Insomma, un vero e proprio monopolio tv parrebbe profilarsi. Invece, non è proprio così. Grazie anche alla frammentazione della programmazione tra reti generaliste, digitale terrestre e piattaforme a pagamento. Insomma, non è tutto oro quello che luccica. L’esempio viene ancora una volta dal calcio, con il Mondiale per Club che si gioca (si sta giocando, mentre scrivo sono arrivati ai quarti) negli States e nonostante le lamentele di moti addetti ai lavori si continua a giocare. D’altronde i premi sono sostanziosi e in un calcio oggi sull’orlo del default globale sono boccate d’ossigeno per programmare nuovi acquisti e riformare squadre. Ma, vi è un altro aspetto in tutto questo, vi è quello che i giocatori non ne possono più di giocare quasi settanta partite all’anno. Gli infortuni sono dietro l’angolo, gli impegni non possono sempre essere onorati, e poi non sempre una squadra è fatta da tutti amici. La tv infatti riesce a smascherare qualsiasi tipo di frizione. Gli scontri si sprecano, le vendette si compiono, le spaccature negli spogliatoi non restano più tra quelle quattro mura. Ormai, tutto viene filmato quasi in diretta, in un presente continuo che non lascia spazio a ipotesi, congetture, discussioni. Queste sì che prendono piede, occupano intere trasmissioni, soprattutto in quelle zone marginali e locali ove alle immagini si sostituisce la parola. Ed è tanto meno bizzarro che la parola sul piccolo schermo conti più delle immagini.
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