L’Altra Venezia, l’importanza di riscoprire i classici

Festival del Cinema

Mentre si vanno scaldando i motori in Sala Grande per l’inaugurazione di stasera e la prima del nuovo film di Paolo Sorrentino, La Grazia, e di conoscere le reazioni della critica e del pubblico al primo film, per giunta italiano, in concorso, si ritiene opportuno cominciare a distogliere per un istante lo sguardo proprio dalla competizione principale per volgerlo alla più apparentemente innocua e in verità incandescente delle sezioni del festival. Perché, erroneamente considerata di nicchia e per soli e accaniti cinefili. Quella destinata a “I film restaurati di Venezia Classici”. Un tempo, infatti, si era abituati a retrospettive monografiche (nel 1988 chi scrive ebbe l’opportunità di vedere l’intera filmografia di Pasolini curata da Laura Betti o ancora i film di Antonioni o di Debord) o tutt’al più movimentiste (i film della Beat Generation o il cinema del realismo sovietico) o celebrative (il programma della fondazione della Mostra, 1932) . Poi, arrivò a scompaginare le carte la Storia segreta del cinema italiano - “Italian Kings of the B’s”, a cura di Marco Giusti e Luca Rea. Ed infine, partendo dai “fantasmi” depositati nelle cineteche si è arrivati alla composizione di un palinsesto che abbraccia oltre ai film di finzione, anche il documentario, imbastendo trasversalmente, senza dunque distinzione di genere né di provenienza, un programma per l’appunto di “riscoperta” sia di film sia di autori ingiustamente – e oggi rivalutati – “caduti in un cono d’ombra ingeneroso”. Tra questi vi è da segnalare “Roma ore 11” di Giuseppe De Santis, tratto da un’inchiesta da un episodio tragico degli anni ’50 sul mondo del lavoro e la disoccupazione femminile realizzata da Elio Petri, autore pure della sceneggiatura. Ma c’è spazio pure per la commedia: “Ti ho sposato per allegria” di Luciano Salce ha come protagonista una spumeggiante e già lontana dalle paturnie antonioniane, Monica Vitti. C’è spazio anche per il western classico, tipico genere americano, con “Quel treno per Yuma”. Più cinefili sono i ritrovamenti dell’esordio al cinema di Manoel de Oliveira, “Aniki-Bobò”, e di “Destino cieco”, sorta di prologo del futuro “Decalogo” di Kieslowski.

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