Guerra in Ucraina, parla in esclusiva l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini: «Credo che le operazioni militari continueranno almeno fino alla fine della primavera» - IL VIDEO

L’attuale presidente del Copasir, parlamentare del Pd, ha parlato in occasione del Colloquio di San Bassiano

«Siamo in una situazione ancora molto complessa (...) io penso che non sarà una cosa, un cammino breve. Spero ardentemente di sbagliarmi, ma credo che le operazioni militari continueranno almeno fino alla fine della primavera e che solo la situazione sul campo dopo questa campagna potrà determinare eventuali negoziati di pace ai quali bisogna lavorare». Lo ha detto l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini intervenendo lunedì sera a Lodi in occasione del Colloqui di San Bassiano.

L’intervento integrale di Guerini.

«Rispetto ai principi richiamati, è chiaro che noi camminiamo spesso al buio, perché la misura dell’efficacia delle scelte in relazione allo sviluppo delle azioni e degli obiettivi che vengono conseguiti, della coerenza tra questi obiettivi e ciò che la realtà poi sottopone a giudizio è all’attenzione di tutti noi.

È evidente che il luogo dell’esercizio della responsabilità è il luogo delle scelte. Per un cristiano che è impegnato nel sociale e nella propria responsabilità di laico, questo è il luogo del dibattito, del confronto, del giudizio e della diversità di opinioni, luogo in cui si misura, sia personalmente che collettivamente, la dimensione più ampia, il rapporto con i valori di fondo che definiscono il proprio essere, che definiscono anche il perimetro collettivo dal punto di vista valoriale e dei principi di una società.

Viviamo una realtà molto, molto complessa, caratterizzata anche da contraddizioni e da difficoltà, anche da difficoltà. Ed è evidente che, nel momento in cui si esercita questa responsabilità, questa responsabilità è sempre personale e sempre dei soggetti che queste scelte compiono. È chiaro che rispetto a tutto questo, ciò che riguarda l’esercizio di questa responsabilità, i principi, le indicazioni, le provocazioni rettamente intese che sono contenute anche nei documenti dell’Enciclica che è stata proposta alle nostre persone questa sera, sono elemento di guida.

Il cristianesimo punta ad evitare la servitù della forza, ma ad un certo punto la legittimità della forza può essere messa al servizio, deve essere messa al servizio della giustizia

La domanda di fondo che mi sono fatto, in questi mesi molto complessi con i quali mi sono dovuto confrontare per la responsabilità che mi era stata attribuita, è una domanda che da anni ha attraversato parte del pensiero cristiano, rispetto al tema della guerra e della pace. Ho trovato molto, molto positiva, la ripubblicazione di un saggio di Emmanuel Mounier, pensatore conosciuto che ha ispirato in larga parte i principi fondamentali della nostra Costituzione perché era un intellettuale di riferimento di una parte consistente dei cattolici impegnati nella Costituente: si chiama I Cristiani e la pace. In questo libretto scrive in modo polemico, polemico anzitutto verso i cristiani, all’indomani della Conferenza di Monaco del 1938, che ritenne una risposta insufficiente, anzi una risposta che lui definisce umiliante, codarda rispetto al male così come si stava organizzando, e alla volontà di potenza che appunto a Monaco si manifestò con forza. Definì l’atteggiamento delle democrazie che a Monaco si confrontavano con il regime hitleriano, «il pacifismo dei tranquilli». Il cristianesimo punta ad evitare la servitù della forza, ma ad un certo punto la legittimità della forza può essere messa al servizio, deve essere messa al servizio della giustizia.

Può sembrare, in parte lo è, che questa azione sia molto diversa dai punti che sono stati prima sottolineati da Lei, Eccellenza. Lo dico perché è appunto il tema di come reagire di fronte al male è un tema che ha attraversato le coscienze degli uomini di buona volontà nel corso della storia e attraversa le nostre coscienze anche in questa contingenza che siamo stati chiamati ad affrontare. E non a caso io credo la Chiesa abbia nel suo magistero sempre mantenuto in maniera chiara le priorità.

Anche la Chiesa, sul tema dell’uso della forza, pone quattro principi con cui la forza può essere utilizzata: che vi sia autorità legittima, che vi sia una causa giusta, una proporzionalità dei mezzi rispetto ai danni arrecati, che lo scopo sia una pace giusta e che vi sia la necessità del mezzo bellico come unico modo per riparare le ingiustizie. Criteri necessari, appunto, perché vi sia la possibilità dell’impiego della forza. Questi punti, sono i punti che poi la Chiesa ha mantenuto nel Compendio della Dottrina Sociale Cristiana del 2006. Si vede come anche la Carta delle Nazioni Unite, soprattutto gli articoli 51 e 52, li riprende: gli articoli che, prima ancora che le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sanciscono il diritto alla difesa del popolo aggredito e il principio dell’ingerenza comunitaria.

Cito queste cose perché alla fine queste cose mi sembrano molto, molto alte, ma in realtà tutte queste cose ci sono state poste in maniera esplicita nelle scelte che sono stato chiamato a compiere. Riguardano le situazioni drammatiche che ho visto, che ho toccato con mano quando mi sono recato in Ucraina nel settembre dello scorso anno non solo per la visita a Kiev, ma soprattutto della visita nei sobborghi di Kiev, dove le persone hanno subito le conseguenze della violenza.

Il male si è manifestato chiaramente nella volontà di potenza di una persona, o di un gruppo di persone, che mira a conservare il potere e coltiva l’ambizione di essere colui che ridisegna l’ordine globale

Noi siamo in presenza di una situazione drammaticamente complessa. Il male si è manifestato chiaramente nella volontà di potenza di una persona, o di un gruppo di persone, che mira a conservare il potere e coltiva l’ambizione di essere colui che ridisegna l’ordine globale.

Ecco, tutto questo ha portato al risveglio della mentalità della guerra nel cuore dell’Europa. L’Europa che è stata costruita per scacciare la guerra da questo continente e che invece ci siamo ritrovati appunto dentro il continente, così come lo stiamo vivendo in questo momento. Sono state fatte tante analisi e sono state stabilite tante ragioni: le responsabilità dell’Occidente, le debolezze dell’Occidente. Tra le responsabilità si parla dell’allargamento a Est dell’Occidente, ma non stiamo parlando di annessioni, bensì di scelte libere di Paesi che si sono sentiti più sicuri stando dentro una certa cornice.

La debolezza dell’Occidente passa dalla disfatta dell’Afghanistan; ho pubblicamente detto, anche nelle sedi in cui le decisioni vengono prese, che sono tra i più contrari alla decisione di rientrare in quel modo da Kabul

La debolezza dell’Occidente passa dalla disfatta dell’Afghanistan; ho pubblicamente detto, anche nelle sedi in cui le decisioni vengono prese, che sono tra i più contrari alla decisione di rientrare in quel modo da Kabul: abbiamo dato un messaggio sbagliato al momento sbagliato, ammettendo che ci siamo disinteressati a quel popolo dopo vent’anni di attività militare. Abbiamo dato un messaggio di debolezza. Non a caso Putin prenderà la decisione pensando a quel momento di difficoltà. E ci sono poi ragioni culturali: la supposta forza dell’autocrazia rispetto alla decadenza dell’Occidente e dei sistemi liberaldemocratici occidentali, alimentato dalle vergognose parole della Chiesa ortodossa di Mosca.

Spero ardentemente di sbagliarmi, ma credo che le operazioni militari continueranno almeno fino alla fine della primavera e che solo la situazione sul campo dopo questa campagna potrà determinare eventuali negoziati di pace ai quali bisogna lavorare

Siamo in una situazione ancora molto complessa: dovendo rispondere a questa domanda di verità che mi è stata sottoposta, al richiamo alla realtà che mi è stato sottoposto, io penso che non sarà una cosa, un cammino breve. Spero ardentemente di sbagliarmi, ma credo che le operazioni militari continueranno almeno fino alla fine della primavera e che solo la situazione sul campo dopo questa campagna potrà determinare eventuali negoziati di pace ai quali bisogna lavorare. Io penso che non possiamo permetterci nel cuore dell’Europa una grande polarizzazione della situazione, cioè una sistemazione come quella tra le due Coree. Anche perché per la prima volta da molti anni a questa parte siamo dentro una guerra in cui uno dei soggetti coinvolti è una potenza nucleare.

Dobbiamo lavorare per costruire una nuova architettura di sicurezza europea, che costruisca le condizioni per una pace duratura e vera

Ma noi dobbiamo essere pronti, intanto, per il dopoguerra. Dovremo essere pronti perché ci sono popoli martoriati e dobbiamo essere pronti perché il dopoguerra dovrà vedere la capacità e il coraggio, il grande coraggio di affrontare i nodi che dovranno essere affrontati in breve tempo.

Dobbiamo lavorare per costruire una nuova architettura di sicurezza europea, che costruisca le condizioni per una pace duratura e vera.

La seconda è un principio che è una costante della politica italiana, il multilateralismo, che sta mostrando la propria crisi.

Ma voglio chiudere con una speranza: anche nel quadro più difficile e complesso, le menti più volenterose sono già pronte per evitare che questi drammi si possano ripetere».

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