“Ricette” della Bassa narrate da Barbolini

Le ricette ci sono? Ci sono eccome e non solo della migliore tradizione padano-modenese, anzi tutt’altro. Ma come, un romanzo con ricette? Non solo, un divertimento a più registri documentali, biliari e di affezione, anche la passione per il cinema, il ciclismo e quant’altro, una galleria di personaggi e tipi fra memorialità e finzione, ironia e rimpianto. Come un Athos della penna con leggerezza, eleganza, piacevolezza e briosità, Barbolini tesse la sua personale, talora umoristica, mitografia intorno agli antenati ed ai prossimi, un romanzo famigliare fatto d’esemplarità, di tic, eccentricità, mitologemi di vario statuto. Un tourbillon di personaggi esemplari sul filo di una fluente narrazione, che ci fa pensare non tanto a Gadda di cui manca la densa amalgama linguistica e la verticalità esplosa e disseminata del senso, talora ai più inaccessibile, ma, con più “sangue”, alla figuralità di un Celati o alla affabulazione estrosa e nel contempo razionale di Adamo Calabrese. Ma la sanguignità bassaiola è preponderante e fa da contrappunto a l’aplomb della scrittura. Un frammento? Un frammento: «Quest’incertezza della realtà, da allora, non m’ha più abbandonato. Sarà per questo che scrivo dei libri così belli? Lo giuro: non è colpa mia. Deve avere a che fare col DNA. O forse col DDT. La nonna delle figlie del Segretario ci inondava le gambe con la pompetta per il flit, nell’illusione di tenere lontane le zanzare della Bassa. Questo potrebbe aver prodotto in me qualcosa tipo Hulk o l’Uomo ragno: una mutazione da insetticidi, forse correlabile alla scomparsa delle lucciole lamentata da Pasolini come segno della fine dell’età contadina».

© RIPRODUZIONE RISERVATA