Le tante “Afriche” di Vincenzo Oreggia

C’è l’Africa “profonda”, quella del «sangue povero» di cui «non frega niente a nessuno, fino a quando non diventa un’ecatombe, un cimitero di dolore su cui sbandierare troppo tardi la bandiera bianca dei diritti umani», è c’è l’Italia - quella impersonale e metropolitana di Milano ma anche quella “lenta” e “domestica” delle Marche - con gli affetti, i dolori, i ricordi familiari che si porta dietro. Due continenti, due luoghi del mondo e del cuore, nei quali si divide ormai da anni la vita di Vincenzo Maria Oreggia e nei quali l’autore (firma apprezzata di queste pagine con recensioni e reportage) ambienta il suo ultimo libro: un viaggio fra il Senegal e la Guinea cui fa da contraltare il “viaggio” nella vita di tutti i giorni, con l’affettuosa e dolorosa cura di una madre la cui memoria progressivamente si sgretola, cancellando passato e lacerti di presente in un’inarrestabile decadenza.È un libro che non lascia indifferenti, questo Pesce d’aprile a Conakry, e lo è, oltre che per il bell’affresco africano offerto, anche per l’originalità dell’impianto, nel quale i due piani - da una parte il viaggio alla scoperta delle montagne incontaminate del Fouta Djallon in compagnia di solerti amici africani, e dall'altra le cure e le premure rivolte alla mamma malata - si guardano, ora vivendo due “vite” parallele, ora incrociandosi e intrecciandosi. Felice anche l’intuizione di mettere una sorta di distanza fra io narrante e protagonista attraverso l’uso alternato della prima e della terza persona, con il Vincenzo che diventa “monsieur Vincent” e la madre chiamata “donna Elena”.

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