La Dublino di Joyce e l’Europa di oggi

 Gente di Dublino è il primo pannello di un dittico che la prossima settimana sarà completato con la recensione all’uscita epocale e in edizione economicissima della nuova traduzione, a cura di Enrico Terrinoni, dell’Ulisse di James Joyce. Infatti, dal primo gennaio sono scaduti i diritti appartenenti agli eredi del grande scrittore irlandese; dunque gli editori potranno ripubblicare i suoi capolavori. Già sullo scorcio finale del 2011, la Newton Compton ha riproposto in nuova veste editoriale i quindici racconti, dedicati a Dublino e alla sua gente, che segnarono il folgorante esordio narrativo di Joyce. La traduzione della Capodilista però risale al 1974; in verità ce ne sono di migliori come quella autoriale della Garzanti curata da Emilio Tadini. Ma tant’è che non bisogna sottilizzare vista la penuria ormai cronica di lettori che ha il Belpaese a dispetto dell’onda creativo-letteraria che invade, anche solo per un giorno, i banchi delle librerie. Un giorno o l’altro bisognerebbe stilare le classifiche dei resi piuttosto che dei venduti. Ci si accorge all’improvviso che recensire i Dubliners è come parlare della vita. Degli accadimenti che si susseguono nelle esistenze, proprie e altrui, in un quotidiano che si valuta al ribasso. Sembra che Joyce scrivendo La pensione o Contropartita abbia prefigurato l’annichilimento spirituale, politico e economico che sta flagellando come un incessante temporale l’Europa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA