Il “dritto” più bello del tennista più folle

“Open”, nel gergo del tennis, significa aprire bene per colpire di dritto e di rovescio. Ma “Open” si chiamano anche i tornei più importanti. E “open” può essere una partita che non si sa come vada a finire. Open (letteralmente “aperto”) è il titolo che Andre Agassi, uno dei migliori tennisti di tutti i tempi, ha usato per raccontare la sua storia. È un libro splendido e appassionante non solo per chi ama le racchette. Scritto con una profondità che raramente ci si aspetta dagli atleti (e sorprendente per uno che ha lasciato la scuola da ragazzino), è un’autobiografia che racconta un’epoca intera. Comincia dagli anni Ottanta (Agassi ha giocato come professionista dal 1986 al 2006 aggiudicandosi otto grandi Slam) e ci conduce per mano fino a oggi. In mezzo, la vita di un bambino nato da padre assiro-iraniano immigrato clandestinamente in Usa e sposato con un’americana, vissuto sotto le luci di Las Vegas (suo padre lavorava al casinò), vicino a (tanti) soldi ma povero in canna. Ecco allora il tennis come mezzo di rivalsa sociale (del padre), ecco allora la lotta per affermare la propria identità davanti a un genitore che era anche coach e padrone (le capigliature “punk”, l’orecchino, l’abbigliamento estroso). Ecco l’odio, viscerale profondo totalizzante, per il tennis che resta però l’unica cosa che il giovane Agassi sa di sapere fare. E poi gli amori sbagliati (su tutti Brooke Shields) e quelli giusti (il matrimonio con la tennista Steffi Graf e i due figli), la ricerca di un equilibrio, di una vita sana, la nascita di una fondazione per aiutare i bambini.

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