
Editoriali / Lodi
Lunedì 22 Settembre 2025
Uno speraglio di fecondità nell’orrore che avanza
«Dove suonerai il pianoforte, è lì che troverai la tua terra»
Abbiamo bisogno di ascoltare e di vedere storie salvate. Sono l’incontro con la speranza incarnata, capace di riaprire almeno uno spiraglio di fecondità nei muri spessi contro cui rimbalzano parole ormai sbriciolate di fronte all’orrore che avanza ed in cui non si intercetta più neppure un alito di senso. Abbiamo assoluto bisogno di aggrapparci alla salvezza che vediamo vivere in una persona, perché, con la sua presenza, ci dice che l’impossibile accade, e che i copioni di barbarie non sono l’unico destino possibile per la nostra umanità. Aeham Ahmad è una di queste persone. Palestinese, profugo in Siria, nel 2015 decide di affrontare la possibilità della morte attraverso la rotta balcanica, anzichè attenderla tra le macerie di Yarmouk, il quartiere palestinese di Damasco.
Lì per lui era diventato davvero troppo pericoloso stare, dopo che un giorno, mentre lui suona, qualcuno – non si sa se l’Isis o l’esercito – uccide Zeynab, una bambina che lo sta ascoltando ed è lì a cantare. Una pallottola le trapassa la testa. Il pianoforte di Aeham viene poi incendiato. Lui infatti, musicista, aveva avuto con alcuni amici un’idea folle: suonare in mezzo alla distruzione e ai sibili delle bombe, facendo cantare i bambini. Perché?
«Il mio Paese è la musica», dice Aeham, e allora le sue note diventano la voce di una popolazione allo stremo ma che al tempo stesso cerca di “cantare” la sua presenza, per evitare di essere completamente dimenticata. E la musica, se non riesce a ricostruire le case o riparare l’ospedale distrutto, anche se non estirpa la paura in modo definitivo, riscalda però un poco quel grumo congelato di speranza che si è rannicchiato chissà dove e lo rimette in circolo. Chissà se ora a Gaza ne è rimasta una briciola!
Gaza, emblema della crudeltà che sta generando un nuovo genocidio, proprio nei confronti di quel popolo palestinese a cui Aeham appartiene. E noi, pur nelle nostre comode case, sentiamo l’orrore della barbarie avvolgerci e, sgomenti, lo vediamo generare un doppio fallimento: quello dello sguardo, che, offuscato da questa violenza estrema, produce assuefazione e quindi indifferenza. Ed il fallimento del pensiero, smarrito ed inchiodato quasi in un’incapacità di ritrovare tracce di possibilità diverse. Una globalizzazione dell’indifferenza, come l’ha chiamata papa Francesco e una globalizzazione dell’impotenza, come dice papa Leone.
Come dire lo sgomento? Come dire l’indicibile? L’urlo? Il vuoto? La poetessa Grazia Frisina si pone e ci pone queste domande di fronte a cui non troviamo risposte.
Aeham continua a dare voce allo sgomento e all’indicibile, attraverso il suo potente linguaggio, quello della musica, l’unica arma che desidera utilizzare. Non è annegato in mare, non è morto di torture, come altri suoi amici e come continua vergognosamente ad accadere a migliaia di persone in questo secolo mobile che noi ci ostiniamo a blindare. Riceve invece premi prestigiosi come artista impegnato in favore dei diritti umani. Ma quanti Aeham sono rimasti in fondo al mare, sepolti sotto bombe implacabili, cancellati da un silenzio che urla?
La sua è una storia salvata e fa bene incontrarlo, ascoltare le sue note dolenti ma mai sconfitte e sentirgli raccontare la gioia per la vita. Lo abbiamo avuto anche qui a Lodi, invitato dal Meic ad Abbadia Cerreto e poi dal Comune di Lodi nell’ambito del Festival Lodi di Pace. «Noi palestinesi - gli aveva detto suo padre - siamo rifugiati, non abbiamo una terra nostra. Dove suonerai il pianoforte è lì che troverai la tua terra».
Aeham è speranza viva anche per noi, ma è insieme un interrogativo: ha trovato la sua terra anche qui a Lodi? Perché, come ha detto il cardinal Pizzaballa in un’intervista del 19 settembre, «ciò che è evidente in questo periodo è la debolezza, se non la paralisi, delle istituzioni politiche locali, internazionali, multipolari… vorrei dire anche delle istituzioni religiose. Questo è il momento della società civile: è lì soprattutto che dobbiamo agire ed è a questa che dobbiamo parlare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA