
( Patryk Jaracz - Festival della fotografia etica)
«Tutta l’Europa deve essere coinvolta»
Il summit bilaterale tra il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, tenutosi il 15 agosto 2025 presso la Joint Base Elmendorf-Richardson ad Anchorage, in Alaska, si è concluso senza un’intesa formale per un cessate il fuoco nella guerra russo-ucraina.L’incontro, presentato come un’opportunità cruciale per sbloccare lo stallo diplomatico, ha invece messo in luce le persistenti divergenze strategiche tra Washington e Mosca, evidenziando i limiti di un approccio bilaterale che esclude attori chiave come l’Ucraina e gli alleati europei. In un contesto globale segnato da crescenti tensioni geopolitiche, il vertice solleva interrogativi sulla capacità delle grandi potenze di tradurre il dialogo in risultati concreti. Le parole di Trump al termine dei colloqui - “We haven’t quite got there, but we’ve got some headway. There’s no deal until there’s a deal” - sintetizzano l’esito ambiguo dell’incontro. Sebbene il riferimento a “some headway” (alcuni progressi) suggerisca un cauto avanzamento, l’assenza di dettagli specifici e di impegni vincolanti rivela un’impasse sostanziale. La dichiarazione, pur pragmatica, tradisce un’incapacità di capitalizzare il momento diplomatico per imporre una svolta significativa nel conflitto, lasciando intravedere un approccio statunitense che sembra più orientato a gestire le percezioni che a risolvere la crisi. La proposta di un successivo incontro a Mosca, avanzata con una certa disinvoltura, rischia di legittimare una normalizzazione dei rapporti bilaterali con la Russia, nonostante il persistere dell’aggressione militare in Ucraina. Tale prospettiva non solo erode la credibilità della deterrenza occidentale, ma rafforza la narrazione russa di una potenza immune alle pressioni internazionali.
Il summit si è svolto in un’atmosfera di ostentata formalità, segnata da una retorica russa che ha ribadito accuse di provocazioni occidentali e da un atteggiamento statunitense che, in alcuni momenti, è apparso eccessivamente accomodante. L’incontro ha assunto toni che richiamano la commedia shakesperiana “Much Ado About Nothing”, in particolare la scena in cui Benedick, con caustico distacco, sminuisce Hero: “Why, i’ faith, methinks she’s too low for a high praise, too brown for a fair praise, and too little for a great praise; only this commendation I can afford her, that were she other than she is, she were unhandsome, and being no other but as she is, I do not like her” (“In fede mia, mi pare troppo bassa per un’alta lode, troppo scura per una lode chiara, e troppo piccola per una grande lode; l’unica lode che posso concederle è che, se fosse diversa da com’è, sarebbe brutta, e non essendo altro che com’è, non mi piace”). Questa analogia riflette l’esercizio diplomatico di Anchorage: un dialogo che, pur ricco di schermaglie verbali, si è rivelato privo di sostanza, incapace di alterare il corso del conflitto.
Un elemento critico emerso dal vertice è il ricorso a una strategia di deresponsabilizzazione diplomatica. L’annuncio di consultazioni telefoniche con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i leader della Nato appare come un tentativo di trasferire l’onere delle decisioni a Kyiv e agli alleati europei, eludendo la responsabilità di un negoziato diretto che includa tutte le parti coinvolte. Questa dinamica di “delega” non è nuova nel panorama diplomatico, ma risulta particolarmente problematica in un contesto in cui l’Ucraina, esclusa dal summit, deve affrontare pressioni crescenti per accettare compromessi territoriali o di sicurezza. L’Europa, a sua volta, si trova costretta a gestire le ricadute geopolitiche e umanitarie di una crisi che richiede un approccio multilaterale coordinato, anziché bilaterale e frammentato. Tale strategia rischia di compromettere la coesione dell’Alleanza Atlantica, alimentando divisioni che potrebbero essere sfruttate da Mosca.
Nelle prossime ore, ulteriori dettagli potrebbero chiarire la portata di questi presunti “progressi” e la fattibilità di un percorso verso la pace, tanto più che l’annuncio di un prossimo vertice a Mosca - beffardamente proposto come sede neutrale - suggerisce una normalizzazione dei rapporti commerciali e bilaterali con la Russia, come se l’aggressione in Ucraina fosse un capitolo archiviato e il vertice di Anchorage destinato a essere ricordato come un’occasione mancata.
Ora, perché la diplomazia possa produrre risultati tangibili, è imperativo che i futuri negoziati includano l’Ucraina come attore paritario e che gli Stati Uniti e i loro alleati adottino una postura più coesa e determinata, altrimenti il rischio è che la guerra prosegua, non per mancanza di volontà, ma per eccesso di scaricabarile.
*vicepresidente Federazione italiana dei settimanali cattolici
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