Da Berlusconi a Meloni, il fascino del presidenzialismo

Il commento di Paolo Pissavino

Giorgia Meloni vuole, anzi, si potrebbe dire, esige di far approvare durante la XIX legislatura la riforma costituzionale che verrebbe a traghettare il sistema politico italiano da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. Lo ha affermato con forza nella recente campagna elettorale, e lo ha ribadito ancora giovedì scorso, durante la sua prima conferenza stampa di fine anno. Lasciando da parte le indiscrezioni fatte filtrare dai quotidiani che vedono il Terzo Polo intento a sorreggere l’iniziativa della premier, la riforma costituzionale proposta da Giorgia Meloni verrebbe a imporre una profonda trasformazione dell’impianto delle nostre istituzioni, e, in tale prospettiva, poco importa se si attuerà un presidenzialismo all’americana o un semipresidenzialismo alla francese, a cui il capo di governo sembra aprire. Il fatto è che il nostro sistema politico, per differenti spinte idelogiche concretizzatesi in anni recenti, potrebbe mutare completamente. Una prima trasformazione è stata determinata dalla riduzione del numero dei parlamentari, voluta dal Movimento 5 Stelle.

L’operazione, come è noto, si presentava imbevuta di populismo, mentre, a ben vedere, ha delineato gli stessi ideali a cui mirava l’antiparlamentarismo elitista di fine Ottocento. Infatti, lo psicologo e criminologo Scipio Sighele (1868-1913), nel suo opuscolo “Contro il parlamentarismo. Saggio di psicologia collettiva” (Fratelli Treves editori, Milano 1895), contro le degenerazioni prodotte dal sistema parlamentare dominato dalla “mediocità della maggioranza”, sosteneva la necessità di “diminuire il numero dei deputati”, perché “limitando il numero, è difficile che rimangano fuori i buoni”. La Meloni ora vuole una repubblica presidenziale, ma anche questa non è una idea per nulla nuova all’interno dello stesso centrodestra. Per il vero, l’istanza del presidenzialismo era stata decisamente avanzata da Silvio Berlusconi durante il dibattito con cui venne definitivamente approvata dalla Camera (22 gennaio 1997) la legge istitutiva della Commissione bicamerale per la riforma della seconda parte della Costituzione: “Il nostro favore per il presidenzialismo - affermava Berlusconi - non nasce dal disconoscimento delle istituzioni rappresentative, ma dalla convinzione che il Novecento si chiude con una domanda di democrazia diretta, di un vincolo immediato tra il popolo e il governo”.

A comprendere le ragioni di tale proposta va detto che se la ferita del fascismo aveva costituito ineludibile motivo per la forte opposizione che durante tutta la Prima repubblica si era levata contro ogni ipotesi presidenzialista, d’altro lato la profonda delegittimazione che il sistema dei partiti aveva ricevuto negli anni di Tangentopoli fece emergere nell’elettorato il desiderio di distruggere ogni ipotesi di mediazione partitica e, all’opposto, la necessità di costruire un rapporto immediato tra governanti e governati che avesse a suo fondamento l’elezione diretta del detentore del potere esecutivo, desiderio e volontà di cui ora la Meloni si è fatta portatrice.

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