TELEKOMMANDO

Il reality senza freni e l’imbarazzo delle reti

Un piccolo rovello è entrato in questo altrettanto minimo salotto virtuale in cui a essere osservatore di una tv (e dei media in generale, vecchi o nuovi poco importa per l’evidente commistione e compenetrazione partecipata dei rispettivi mezzi) è sì privilegio, ma è anche avere oltre il diritto di critica, il dovere di capire come la tv e i suoi apparati direttivi stanno sterzando forse verso una conservazione dettava dall’aver lasciato troppa briglia sciolta ad alcune produzioni e generi. Sto parlando come dovrebbe essere ovvio del reality e dei sottogeneri che ha originato. Sembra però passata sotto silenzio l’arrabbiatura dei vertici di Mediaset per come sta sterzando verso volgarità inaccettabili il GFVip (che di vip non ha niente, ma proprio niente) tanto da sospendere una replica. A nulla sono valse le reprimende in diretta del conduttore. Eppure dovevano prevedere che, tolto il tappo delle inibizioni, un genere che ha come focus la “reclusione remunerata” in una casa di un gruppo di persone così eterogeneo accomunata solo dalle più subdole pulsioni di visibilità (altroché esperimento sociologico, forse una volta), tutto sarebbe saltato in aria. Ci si può scommettere anche l’abbonamento a una delle piattaforme che anche per L’Isola dei famosi sarà così. Basta leggere i nomi di chi parteciperà. Se saranno confermati. Per intanto continua l’acchiappa – fiction della Rai. Lunedì è iniziata la nuova serie del Commissario Ricciardi che raccoglie il testimone dal vice-questore Lolita Lobosco e dalla commissaria Teresa Battaglia. Un filone poliziesco sembra d’altri tempi. L’elastico temporale che fa retrocedere Ricciardi dalla contemporaneità delle due poliziotte baresi-friulane ai tempi del Ventennio, per altro situato a Napoli, è sintomatico come il genere attraversi le epoche. Pur rimanendo fedele a sé stesso. Questo è credo il suo segreto su cui si dovrà riflettere ancora.

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