TELEKOMMANDO Studio Battaglia e il senso della vita

La serie Tv milanese giunta alla fine della seconda stagione

È andata via, terminando la sua seconda stagione, Studio Battaglia, fiction tutta milanese che ha mostrato ancora una volta come questi prodotti televisivi funzionano quando a intrecciarsi sono nella coralità espressiva dei personaggi le loro rispettive storie. Che poi, e lo si è visto anche in altre produzioni (che non siano le vite di personaggi storici e artisti e poeti), convoglino verso un fine comune acclarato da una sorta di “danza” totale è solo il “la”, l’avvio a una successiva stagione. Questa in parole povere si chiama serialità. Ma, evitando di cadere in un discorso propriamente teorico e scendendo trivialmente alla pratica di visione, cosa ha voluto mostrarci Studio Battaglia? Facile a vedersi e anche a dirsi: la felicità o almeno momenti di gioia irrefrenabili il più delle volte sono piccoli o grandi bagliori in vite che vogliono aspirare a tutto e invece affogano in ansie e vuoti di senso, anche se hai tutte le possibilità di questo mondo: così affrancato dalla realtà e in apparenza lontano dai problemi; quand’invece il gineceo che accompagna queste avvocate (ma perché non dire più avvocatesse. Ahinoi che veniamo da un ’900 così superato) sembra dividersi e unirsi su tutto. Questa forse è la vera forza di questa fiction. D’altronde scendendo le scale del loro studio (la zona updown milanese è quella del Bosco Verticale e del Quartiere Isola), le Battaglia, Marina la madre (una geniale Lunetta Savino e già la scorsa settimana la si era segnalata) e due delle tre figlie (su di loro meglio non andarci giù pesante per come si approcciano alla quotidianità), non a caso dicono guardandosi: separiamoci che sembriamo gli Avengers.

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