TELEKOMMANDO

La settimana che precede il Festival del Cinema di Venezia, al suo ottantesimo giro di boa, solitamente si mostra fiacca per come poi verrà occupata in quasi tutti i palinsesti dalla kermesse del Lido. Non che questa che va a termina sulla quale si sta stilando il presente referto non abbia dato niente in termini sia di cronaca sia di intrattenimento. Tutt’altro. Ci sarebbe da dire nell’ordine, crescente o decrescente di importanza, sta a voi lettori dirlo su: la morte del capo della Wagner, dell’immondo stupro di gruppo, sulle continue gaffe degli esponenti di governo, sulla dipartita di Toto Cutugno (e il mea culpa su L’italiano di Celentano) e in ultimo sulla fiction “Studio Battaglia”: qui il mea culpa è il mio non essendomi mai accorto di questa serie. Infatti , c’è da dire che sono andate in onda le repliche e anche a distanza di un anno dalla prima messa in onda, lo share non è stato per nulla da buttare. Avverto che sono disponibili tutti e 8 gli episodi su Rai Play. Come si farebbe senza il canale digitale della Rai. Ah, saperlo! Insomma, lasciando per l’iper-medialismo della cronaca e la relazione con i talk politici serali è cruciale per capire anche la mescolanza che esiste tra l’approfondimento, il confronto, il cicaleccio e lo scontro, ritengo meglio buttarsi su questa serie che mostra, in un ambiente alto-borghese, belle le case, bello il set prescelto (perlopiù la Milano dei grattacieli con qualche intrusione “verde” della capitale, per quelli che riconosco a colpo d’occhio angoli di Roma), i crucci e i dolori della famiglia Battaglia: un gineceo allargato di avvocatesse (la titolare dello studio madre, due figlie che ne hanno seguito le orme, figlia ribelle, e fedele tuttofare del capo) che più problemi ha, più ne mette “a cuocere”. Tutt’intorno a loro girano molti uomini: padri, figli, nonni, altri avvocati, alcuni professionisti che però hanno un tratto in comune. Coltivano la menzogna. Quasi sempre in modo clandestino. In tale sguazzo risalta la lotta delle Battaglie che poi non è che ricerca di una felicità, più esteriore che spirituale. In definitiva, ahiloro e pure noi, è sempre la quotidianità a spuntarla. Anche nella “finzione” (o verisimiglianza) televisiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA