TELEKOMMANDO

Non è una novità che d’estate le rubriche televisive mostrino la corda. Tuttavia, in questi ultimi anni si è sempre di più affermata l’esigenza di non lasciar al caso i palinsesti, soprattutto delle tv generaliste, ma di affrontare una programmazione pensata, progettata, capace di sintonizzarsi con le esigenze di un pubblico sempre più frammentato in nicchie. Ecco di cosa volevo discorrere: a cominciare dalla nuova edizione di Temptation Island. Ma, come sta accadendo di frequente, la realtà irrompe in modo inatteso e a suo modo inquietante nel romanzo televisivo contemporaneo. Poi quando a decedere è uno dei protagonisti della neo-televisione, nonché della vita nazionale, peraltro in tutti i suoi ambiti, l’irruzione diventa vera e propria occupazione di ogni spazio possibile. La morte di Silvio Berlusconi senza alcun dubbio detterà l’agenda di questa e di altre settimane – sto scrivendo il giorno dopo l’accadimento, caro lettore tu leggerai che è già sabato, a funerali di Stato conclusi. Avendo visto, sentito, ascoltato, letto e riflettuto in queste ore in cui nessuno esente ha detto la sua su Berlusconi, mi sembra assurdo che anch’io possa dire qualcosa di nuovo e intelligente. Per questo mi sono andato a leggere frammenti dagli scritti televisivi di Enrico Ghezzi e ho atteso (e sono arrivate all’Ansa) le dichiarazioni di Freccero, evocato proprio in questa rubrica qualche settimana fa. Se l’inventore di Blob macina sul demiurgo della tv commerciale un’idea espansa di fabbrica delle immagini come rito collettivo partecipato e condiviso, pur insufflato sia dall’edonismo degli anni 80 e la capacità di trasfigurare la merce nei corpi di conduttori e ballerine (per la prima volta chiamate con altri nomi: veline, letterine, ecc.). Freccero che come Ghezzi ha travasato un immaginario filosofico formatosi sul cinema nella tv va più sulla sua autobiografia: «Ho avuto il privilegio di osservare dall’interno un cambiamento epocale, l’esperienza della nascita della tv commerciale in cui Silvio Berlusconi ha costruito il suo impero e io la mia vita». Per poi recuperare il medesimo pensiero di Berlusconi come «un’icona, un simbolo del consumismo ma anche di una certa grandeur italiana, un secondo boom economico, un paese in fase espansiva. La stessa tv commerciale con tutto il suo corollario di consumi fu da lui imposta in tutta Europa, i consumi con la Standa, la pubblicità con Publitalia, il calcio come contenuto spettacolare premium venendo prima dal boom edilizio di Milano 2. Un sistema complesso ed in qualche modo autosufficiente che corrisponde ad una sua personale Utopia (come - sottolinea - il suo libro di culto, l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam). In definitiva è stato un visionario che ha cambiato la tv italiana, la politica che ha trasformato con i criteri dell’audience e ha incarnato gli anni ’80, lui avrà per sempre quella cifra vintage che lo renderà caro ai posteri». Avrà ragione?

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