
Ogni tanto bisogna fare ammenda e ricredersi di ciò che si è pensato, per giunta anche scritto, contravvengo così al celebre adagio che se le parole possono anche volare via, ciò che si ferma su carta resta. A futura memoria. Insomma, su Paolo Mieli per un momento devo ricredermi perché è stato l’unico commentatore (spesso anche il solo per come occupa o meglio viene invitato da tutte le reti tv e persino in radio) a capire ed in questo con rara preveggenza come sarebbe andata a finire il de bello israelo-iraniano una volta messosi in mezzo “l’arrivano i nostri” di Donald Trump. Al di là delle battute che intendono sdrammatizzare (non buttare in caciara ovviamente) una situazione che andava aggravandosi di ora in ora e di fatto con l’intervento di forza degli Usa, sembra che la tanto auspicata tregua regga e i 12 giorni di guerra già paiono lontano, bisogna dire che tra politica e analisti di mezza Europa, in pochi hanno saputo prevederne gli sviluppi. Mediaticamente Mieli ha messo a segno un buon colpo. Capendo prima di altri. Detto questo, ci si potrebbe fermare anche qui, perché la settimana ha offerto ben pochi spunti di riflessione, tolta a ragione la guerra. Infatti, bisogna chiedersi il perché la tv, ancora il più popolare dei media, d’estate, cioè con la bella stagione, si fermi e ricicci tutto il ricciabile. Scomodare ancora una volta i ritagli, tagli e frattaglie di arboriana (e decrescenziana) memoria fa sempre bene. Ma, è anche forse tempo di cambiare registro. Questo vale anche per i canali monografici del digitale terrestre e non solo per le reti generaliste.
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