TELEKOMMANDO

Molto, anzi moltissimo istruttiva è stata l’ultima puntata di questa stagione di Petrolio, il magazine d’inchiesta, scritto e condotto da Duilio Giammaria. Interamente dedicata all’ascesa a parere di tanti inarrestabile di Trump non solo alla Presidenza degli Stati Uniti, ma anche come facilitatore (eufemismo) di un nuovo ordine mondiale. Ma, pare non tanto così, anche perché la trasmissione è stata registrata prima del bellicoso affaire Israele – Iran. Sto calibrando le parole che come diceva un grande poeta, scrittore, artista possono rivelarsi pietre. E oggi in tanti sanno che molte di queste volano dalle finestre dello studio ovale di Washington. Detto ciò, lo spazio concesso non consente di dire e non vale neanche sunteggiare il risultato delle interviste e delle inchieste rivolte a intellettuali e gente comune dal conduttore in trasferta americana. L’ipotesi è però questa che gli atti presidenziali tendono a far scivolare la democrazia americana verso una forma di protezionismo autoritario che colpisce in primo luogo lo “straniero”. Gli ultimi della scala sociale. Viepiù tra le tante soste di Giammaria quella a Wall Street, molto più esplicativa di quella ad Harward, che indirizza quale è il “sentiment” di chi conta davvero e dà le carte come si dice al di là (e spesso, sempre più, al di qua) dell’Oceano Atlantico. Infine, in chiusura il colpo da maestro dell’intervista a Steve Bannon, il cavaliere oscuro di Trump, chissà se ancora in auge come ideologo dei Maga e affini, che senza dissimulazione alcuna ha spiattellato cosa pensa di questo nostro confuso mondo. Unica nota stonata se si può dire la presenza in studio di Paolo Mieli. E dire che una volta volta c’erano le prezzemoline a far le statuine e a non dire e aggiungere nulla di meno, nulla di più ai discorsi in campo.

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