
Quando le cose non vanno bene e nel mondo ce ne sono tante che hanno preso la via per il verso storto della vita (e aggiungo a tutti i livelli), meglio darsi al “pane” e al “circo” e andarselo a prendere. Come si può, anche quando viene offerto sottoforma di spettacolo sportivo. Quasi una contraddizione in termine, ma efficace nel fondere al presente l’antico adagio romano. Tutto ciò è stato offerto (anche in chiaro) dalla due giorni delle semifinali di Champions League, animate da due partite uscite dal cilindro di chissà quale strano incantesimo. Due partite, sia Inter – Barcellona sia PSG – Arsenal, che hanno emozioni a non finire anche a chi di quelle squadre non è per nulla tifoso. Digressione forzata: il sottoscritto è tra questi, per giunta sostenitore (si fa per dire) della squadra di Milano che si esaltava nell’ascoltare la musichetta della Champions. Questo era quello che diceva con una punta di snobismo un vecchio dirigente, ahilui, oggi pure decaduto con la sua attuale compagine nel purgatorio della serie B. Almeno, da questa parte i “zero tituli” sono scongiurati, anche se rispetto alla Champions sono bagattelle. Belle, ma bagattelle. Questo è a mo di futura memoria, se dovesse accadere l’irreparabile. Ma, non si gufi. Anzi, si deve lodare per una volta anche la capacità di andare oltre la semplice telecronaca: sia Caressa sia “Zio” Bergomi hanno saputo gettare vie le giacche della professionalità dando vita negli ultimi concitati minuti prima del finale di partita e poi dei supplementari – e stiamo dicendo della rimonta dell’Inter - più a una voglia di essere loro in campo che a raccontare le azioni. Lì ci pensava una regia tv a mio avviso impeccabile che dava proprio l’impressione a chi seguiva l’incessante andirivieni delle azioni di vivere l’esperienza con i calciatori. Anche questa è “grande” televisione.
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