La vita di Vasco sullo schermo del Lido

Doveva essere il film della consacrazione ufficiale di Vasco Rossi ed invece Questa storia Qua di Alessandro Paris e Sibylle Righetti è diventato l’ultimo tassello umano e disincantato della rockstar messa in sonno dalla malattia (e non in pensione come lui stesso ama definirsi negli ormai celebri clippini di Facebook) e in vena di anticipare un pensiero e programma differente da ciò che ha sempre fatto. Forse, sarà vero. Forse no. Una rockstar difficilmente può staccarsi dall’ingranaggio commerciale che ne stritola la capacità di svincolarsi dal presente; l’affanno di Ligabue (concerti - film e video) è lo stesso di Rossi in un gioco di specchi rovesciati che finisce per creare divisioni e rancori buoni solo per i fan. Mai due cantanti e autori pur provenendo dalla medesima area geografica potrebbero essere più diversi. Il film lo fa vedere se messo in confronto con Niente paura di Piergiorgio Gay, passato lo scorso anno. Detto questo e snodando la vita di Vasco attraverso il vissuto in prima persona (la voce off del cantante di Zocca è emozionante nel racconto, capace di teatralizzare gli incontri e le passioni da consumato protagonista della scena) e le testimonianze degli amici della prima ora, consegna alla visione un ritratto dell’artista da giovane che ha per forza e determinatezza pochi riscontri nel panorama artistico nazionale. Ma non è tutto, le solide radici familiare, il padre camionista stroncato da un infarto mentre tornava da Trieste, tutto dedito alla famiglia e al proprio mezzo, fa il paio con le allegrie e le depressioni della mamma che lo invitava a cantare con lei al pari del nonno fisarmonicista e dongiovanni di paese che lo iniziò ai balli di balera. Ancor più divertenti sono i filmini amatoriali che ritraggono Vasco con gli amici ai tempi della scuola o più in avanti nei sogni post-adolescenziali di poter sfondare con le discoteche e le radio. Ma è il rock a vincere unito al desiderio non di uscire dal proprio universo di piccolo paese di provincia. No, per l’autore di Albachiara e Vita spericolata i confini sono solo mentali e che vanno vissuti nel proprio tempo e non nasconde nemmeno l’aperto uso di droghe e alcool nel tentativo di vincere la paura del palco e di espandere la mente (qui si riprende la testimonianza data nel doc di Teresa Marchesi dedicato alla Pivano) come l’annichilimento alla tossicodipendenza del suo alter-ego musicale Massimo Riva. Insomma i due registi sono riusciti ad interpretare l’attuale stato d’animo della rockstar in bilico tra voglia di cambiare e quello di biografare se stesso in un’autofiction più narrativa che cinematografica.

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