La psicanalisi dentro l’obiettivo: Cronenberg tra Freud e Joung

Il concorso messo a punto come un orologio svizzero da Marco Muller (a proposito si ventila una sua riconferma alla guida del festival), conta al suo terzo giorno un altro film “giusto”: è A dangerous method di David Cronenberg e con il film del regista canadese si confeziona la tripletta che, fin qui, pare in lizza per l’ambito Leone d’oro. Gli altri due film sono Le idi di marzo di George Clooney e Carnage di Roman Polanski. S’attendono però notizie confortanti da Terraferma del nostro Emanuele Crialese. Un premio al cinema italiano non dovrebbe mancare. Venezia non sfiora nemmeno per sbaglio lo sciovinismo di Cannes, ma quest’edizione dovrebbe far giocare qualche buona mano d’assi per i film nazionali. D’altronde, se i divi d’esportazione sono come la Bellucci, che bellamente (e non è un gioco di parole) massacrata da Garrel con un film che un critico smaliziato ha definito una “garrellata”, figurarsi quelli che notoriamente si confinano nel cortile di casa e basta. Tra l’altro il marito Vincent Cassel è nel film di Cronenberg ed è il malatissimo dottor Gross, colui che libera le confuse “predilezioni” di Jung. Insomma, piccolezze che non coinvolgono il nuovo capitolo cinematografico sull’esplorazione delle pulsioni più oscure e nascoste dell’uomo che Cronenberg sta allestendo da qualche tempo. Il passo da Shakespeare e Dostoevskij a Freud e alla psicoanalisi è breve. L’intreccio critico si risolve nella letterarietà del metodo scoperto dal medico viennese. Gli innesti eretici di Carl Gustav Jung e di Sabina Spielrein conferiscono alla materia quel necessario ampliamento di visione e di coinvolgimento emotivo che il cinema, media progressivo mai fondamentalista, ha connaturato. Tutto questo è già nel cinema di Cronenberg e deflagra ancor più nel falso biopic di uno spicchio di vita di Jung. Poco meno di dieci anni, dal 1905 alla vigilia della prima guerra mondiale. Siamo, dunque all’alba del “secolo breve”, ma tutto inconsapevolmente per i più, nettamente per pochi, sembra già inventato per l’entrata nella modernità. Il mondo nuovo è fatto di immagini (il cinema è un bambino, ma di “cadaveri” ne ha già lasciati compresi i suoi inventori), di radiazioni (i progressi della fisica), e della scoperta dell’inconscio che data 1900 con la pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, medico ebreo distintosi fino ad allora per alcuni studi sull’isteria. Il crogiolo di queste esperienze è la decadente Vienna, in cui si consumano e fanno le prove generali arte e musica, con secessionismo e atonalità prima della scomposizione futuristica, cubistica, surrealistica, dodecafonica e neoclassica delle migliori avanguardie del XX secolo. Ma, l’altro polo della vicenda è Zurigo. Qui alberga Carl Gustav Jung, Michael Fassbender, un giovane medico, ricco e affascinante, che sulla scia delle intuizioni di Freud – l’attore feticcio cronenberghiano Viggo Mortensen - sta curando con la terapia delle parole una bizzarra paziente affetta da uno smaccato masochismo d’origine sessuale che lontana dalla malattia però mostra un talento nel comprendere l’analisi fuori dal comune: è l’ebrea russa, Sabina Spielrein, l’intensa Keira Knightley tutta scatti isterici e sguardi fuori dalle orbite. Sarà la Spielrein a smottare il già insicuro terreno di ricerche di Jung (la fascinazione per i fenomeni occulti da latente diventerà preponderante negli scritti come la preveggenza); lo porterà a confrontarsi e a scontrarsi con il maestro, quando già era stato designato “degno successore”, sperimentando su loro stessi le più insane passioni sessuali pur mantenendo all’esterno un perbenismo borghese di facciata che urta con “la peste” che stanno diffondendo – e sono parole di Freud allo sbarco in America della psiconalisi – nel mondo occidentale. Ma, la lettura di Cronenberg non investe solo le individualità dei tre personaggi, ma anche la Storia che sta riversando sull’umanità la prima delle catastrofi de l XX secolo .

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