Checco Zalone tra prima Repubblica e posto fisso

«La prima Repubblica, non si scorda mai. La prima repubblica, tu cosa ne sai: dei quarantenni pensionati, che danzavano sui prati, dopo dieci anni volati all’aereonautica…».

Checco ha avuto tutto dalla vita: sognava il posto fisso statale e lo ha avuto, a venti metri da casa. Sognava di fare il fidanzato, eternamente accudito da mamma e papà, e lo ha potuto fare. Faceva parte di una generazione – quella figlia della prima Repubblica appunto – che immaginava di poter arrivare serenamente così alla pensione, fino a quando non è arrivata una terribile riforma statale a scombinare l’equilibrio di questo “Eden” perfetto…

Il posto fisso, una generazione votata all’assistenzialismo, immatura e incapace di confrontarsi con il mondo e con i cambiamenti. Zalone-Luca Medici attacca a testa bassa in Quo vado?, ridendo di vizi (tanti) e virtù (scarse) del popolo italico, ovviamente avanzando per paradossi, con leggerezza e con il tratto della commedia, ma colpendo più in profondità di quello che il suo sberleffo appaia a uno sguardo superficiale. Raccontando le disavventure del suo personaggio, “costretto” ad emigrare fino al Polo Nord per restare attaccato alla sedia del posto fisso, mette alla berlina un modo d’essere tutto nostrano, aggiusta la mira rispetto agli esordi e racconta in maniera divertente (questo è essenziale: siamo in una commedia e si ride) e non banale un pezzetto della realtà.

Il pericolo più grande per Luca Medici è quello di “normalizzarsi”, assieme al suo alter ego Checco Zalone. È quello di perdere la parte caustica e scorretta della sua comicità, capace di non essere volgare nemmeno quando gioca pesantemente con i generi, le diversità, i conflitti e gli stereotipi. Viene un po’ in mente il confronto con John Beluschi all’epoca di Chiamami aquila (fate le dovute proporzioni): allora i fan del comico più irriverente e spericolato di tutti, il geniale Bluto, il fratello Blues uscito dal Saturday Night Live avevano preso come un affronto la svolta “romantica” di quel film arrivato in una fase interlocutoria e di crisi creativa dopo gli expoit degli esordi, un pericolo che il “nostro” deve scampare assolutamente dopo i “botti” e i record di incassi fatti registrare al cinema. Questo film dimostra che Checco Zalone c’è ancora, con la sua carica comica, ma qualche piccola crepa si intravede già in scelte che potevano essere evitate (come tutta la parentesi buonista finale, appiccicata un po’ di forza a tutto il resto). Fin quando Luca Medici si diverte a graffiare sfruttando i vizi e le maleducazioni italiche è vincente, quando è libero di seppellire con una risata luoghi comuni, ipocrisie o un’intera classe politica e un pugno di generazioni con il culto dell’assistenzialismo non si batte. Bastano i versi di una canzone... Certo con il passare del tempo, e dei film, la sua comicità necessita di una struttura più solida per reggere il cinema, per uscire da quel limbo in cui si respira ancora l’aria del palcoscenico del cabaret. È insomma già ora di rinnovarsi per fare il salto di qualità e per non rimanere imprigionato definitivamente nel “personaggio”. E di rivolgere a se stesso proprio la domanda del titolo: Quo vado?

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