Bellocchio: l’orrore della guerra e il racconto della “pace perduta”

Il reporter lodigiano ha presentato il suo documentario sul Nagorno Karabakh alla libreria Mittel

Storie di guerra, storie di persone costrette a rifugiarsi negli scantinati per evitare i bombardamenti incessanti e indiscriminati, storie di morti, tanti, troppi, spesso giovani e innocenti. Ma anche storie di umanità e di speranza: «Non posso dire che gli armeni siano buoni e gli azeri cattivi: posso solo dire che la guerra è orribile», racconta un padre che ha appena perso un figlio. «Non voglio che l’odio entri nei miei bambini», ribadisce una madre. Daniele Bellocchio è stato testimone di ciò che è successo lo scorso autunno in Nagorno Karabakh, la regione del Caucaso meridionale che da decenni è contesa tra Armenia e Azerbaijan. Dopo il conflitto degli anni Novanta che costò la vita a oltre 30mila persone, la guerra è riesplosa proprio mentre il mondo si trovava a fronteggiare la seconda ondata di Covid. Un odio antico, alimentato nel nome di dubbi interessi economici e di un esasperato nazionalismo. La mattina del 27 settembre 2020, Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, è stata svegliata di nuovo dal suono delle sirene e dal boato delle esplosioni: le truppe azere, supportate da forze armate turche, hanno ricominciato un attacco finalizzato a riprendere il controllo della zona. Bellocchio, giornalista lodigiano da tempo impegnato nei luoghi più caldi del pianeta per documentare e raccontare gli orrori e le conseguenze dei conflitti, ha vissuto sul campo buona parte dei 44 giorni di battaglia, rischiando ogni ora la pelle ma convinto della necessità di informare, anche quando la guerra sembra lontana (e poi così lontana non è), anche quando il mondo guarda da un’altra parte. Sabato, alla libreria Mittel in via Lodino, il giovane ma già affermato reporter ha presentato il documentario “La pace perduta”, scritto con il collega Simone Zoppellaro, 20 minuti che raccontano non solo le ragioni del conflitto ma anche e soprattutto l’eredità pesantissima di ciò che è accaduto in autunno. Bellocchio ha intervistato padri, madri, medici, religiosi: buona parte della “meglio gioventù” ci ha lasciato, i cimiteri sono pieni di lapidi dove sono sepolti ragazzi di vent’anni. Tanti giovani sono rimasti mutilati, altri soffrono di disturbi psichiatrici, altri ancora faticano a camminare. «Siamo in debito con questo dolore – spiega Bellocchio durante la chiacchierata con il pubblico, dopo aver tracciato una ricostruzione storica della zona -. Dobbiamo infettarci di questo dolore, senza però cadere nella spettacolarizzazione o nel pruriginoso. Il documentario racconta soprattutto il dopo-guerra, perché sono le persone che fanno la storia».

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