Attenzione e rispetto nel dialogo fra religioni

Gli interventi alla serata sull’islam promossa dalla Scuola di Teologia per laici

Tra Cristianesimo e Islam, ma anche tra tutte le religioni e con chi non professa nessuna fede, parlare di “rispetto” è utilizzare un termine ancora neutro. Piuttosto, ci sia il riconoscimento del percorso spirituale reciproco. E ancora prima, l’attenzione all’altro. Perché attenzione significa accorgersi.

Questa la riflessione uscita dalla serata “In dialogo con l’Islam”, mercoledì 14 dicembre al Collegio vescovile, promossa da catechesi vicariale di Lodi e Scuola di teologia per laici, nel percorso annuale sul dialogo interreligioso.

Ospiti, Mahamoud Asfa, imam del Centro culturale islamico di viale Padova di Milano e Antonio Cuciniello dell’università Cattolica di Milano.

“Nella mia città in Giordania il liceo scientifico era sulla stessa via di una chiesa e una moschea – ha raccontato Asfa -. Ogni giorno vedevo in una caffetteria, allo stesso tavolo, il parroco e l’imam: prendevano il the insieme. Volevano trasmettere il messaggio agli studenti: un cristiano e un musulmano sono amici. Quando c’era la preghiera, il prete diceva all’imam: “Vai a fare il tuo lavoro”. Quando suonava la campana, l’imam diceva: “Adesso tocca a te”. Quando studiavo al Politecnico io pregavo sotto la scala, non c’erano moschee, ripensavo a quell’immagine e mi dicevo: chissà se riusciamo a portarla a Milano”.

Ancora: “Sono stati i mondiali di calcio del 1982 a condurmi in Italia. Avevo 18 anni, vedevo l’Italia che vinceva, Antonioni, Cabrini, Gentile. Pertini saltava come un ragazzo quando l’Italia segnava, sull’aereo giocava a carte. Mi dicevo: se questo è il presidente, come sarà questo popolo? Mio padre voleva che andassi a studiare negli Stati Uniti. Ma io volevo fare architettura. Sono arrivato il 25 agosto 1982, si festeggiava ancora il mondiale”.

Laureato al Politecnico, Asfa nel 1990 lesse le parole del cardinale Martini sull’Islam. “Era appena nata la Casa della Cultura e abbiamo bussato alla porta del parroco di San Giovanni Crisostomo in viale Padova. Ci ha aperto. Ho capito: cominciamo a costruire quell’immagine a Milano. E’ nato un rapporto di amicizia e fratellanza tra la comunità musulmana e i frequentatori della chiesa. Conoscere l’altro fa cadere tantissimi pregiudizi. Oggi lui ha 82 anni e ci vediamo ancora”.

Poi sul “Documento della fratellanza umana”, firmato nel 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar

Ahmad Al-Tayyeb: “Per la prima volta nella storia, musulmani e cristiani firmano un documento insieme. Chi l’ha scritto è un genio, io come musulmano vedo che è straordinario. Adesso è importante che venga studiato e applicato. Ci sono valori comuni: giustizia, uguaglianza, amare il prossimo. Soltanto abbracciandosi, Francesco e l’imam hanno trasmesso un messaggio all’umanità. I frutti dipendono anche da noi”.

Un incontro avvenuto a 800 anni da quello di San Francesco e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. “Nessuno ha costretto l’altro a convertirsi ma sono tornati nel proprio contesto più ricchi – ha detto su questo Antonio Cuciniello, cristiano cattolico, al suo attivo anche tre anni vissuti al Cairo e una lunga esperienza come formatore di insegnanti, oltre che docente in Cattolica -. Parlando di dialogo interreligioso Papa Francesco dice che in un incontro in cui ognuno fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, si potrebbe parlare di una fraternità finta”.

Per la prima volta nella storia, musulmani e cristiani firmano un documento insieme. Chi l’ha scritto è un genio, io come musulmano vedo che è straordinario. Adesso è importante che venga studiato e applicato. Ci sono valori comuni: giustizia, uguaglianza, amare il prossimo. Soltanto abbracciandosi, Francesco e l’imam hanno trasmesso un messaggio all’umanità. I frutti dipendono anche da noi

Cuciniello e Asfa, amici da tempo, hanno poi risposto alle domande dei presenti con franchezza, toccando molti argomenti. “Due interventi limpidi, un assaggio di come può essere un rapporto diverso”, ha commentato monsignor Roberto Vignolo. Nel pubblico anche don Domenico Arioli e don Andrea Tenca, già missionari in Niger: loro la testimonianza sull’accoglienza ricevuta dalle autorità musulmane e sul riconoscimento reciproco.

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