Sant’Angelo, il protocollo Ebola è top secret

Trentasette anni appena e per tre volte in Africa ad assistere i malati di Ebola. Fanshen Lionetto, dottoressa di “Medici senza frontiere”, ieri pomeriggio ha raccontato la sua esperienza a decine di operatori dell’Azienda ospedaliera di Lodi. L’evento, organizzato dal reparto di malattie infettive e dal suo primario Marco Tinelli, nell’aula magna dell’ospedale di Sant’Angelo, ha suscitato il vivo interesse di medici e infermieri. Il primario del Pronto soccorso di Lodi Stefano Paglia ha stretto la mano alla Lionetto e le ha fatto i complimenti.

«I veri eroi - si schermisce l’infettivologa - sono quelli che operano là, in Africa, medici e infermieri del posto».

La sua esperienza è la testimonianza vivente che assistere i malati di Ebola si può. Non solo in Europa, ma anche in Africa. Durante l’incontro con gli operatori, i vertici dell’Azienda ospedaliera hanno diffuso le linee guida interne, il protocollo stilato per affrontare l’assistenza interna ai malati di Ebola. Il direttore sanitario Roberto Riva però ha voluto precisare che l’incontro doveva essere rigorosamente a porte chiuse.

Tinelli ha introdotto la giornata parlando di biologia, clinica e terapia e anticipando gli interventi dei suoi colleghi. Una dimostrazione pratica dell’uso dei dispositivi di protezione individuale, vestizione e svestizione, ha chiuso la giornata. La Lionetto ha messo a disposizione la sua esperienza sul campo. «Mi hanno chiesto di andare in Africa e ho detto di sì - commenta la dottoressa di Milano, che lavora all’ospedale di Bergamo -. Nel 2012 ero già stata in Uganda per un’epidemia di Ebola. Così quest’anno, tra marzo e giugno ho accettato di andare in Guinea e tra luglio e agosto in Sierra Leone. Non ho avuto paura, altrimenti non ci sarei tornata tre volte. Là è molto diverso da quello che vediamo qua. Certo, non è impossibile che anche da noi ci siano dei casi, ma epidemie come in Africa sicuramente no. In Africa servirebbero medici, strutture e sistemi sanitari funzionanti. Ci sono molti italiani che sono in Africa a dare una mano. Io non mi sento affatto un’eroina, gli eroi sono gli operatori del posto. Per proteggersi ci sono i dispositivi. Il rischio non è mai zero, ma là è tutta un’altra cosa».

I farmaci sono in via di studio, annota Lionetto. «Al momento - dice - ci sono solo medicinali di supporto. Che aiutano l’organismo, danno un minimo di possibilità in più. Allarmismo in Europa? Sì, è vero». Per capirlo bisognerebbe essere stati in Uganda, Sierra Leone e Guinea, come ha fatto lei. La cosa che l’ha colpita di più? «Vedere le persone che uscivano dall’ospedale e sorridevano dopo le cure».

© RIPRODUZIONE RISERVATA